Un malato sa che per vivere e aiutare a farlo deve accettare ogni giorno una sfida con se stesso: costruire attimo per attimo, mattone per mattone una casa migliore punto di partenza per esplorare, conoscere e condividere la conoscenza. Sembra una atto enorme, in realtà sotto i tanti piccoli gesti quotidiani che fanno grande l’opera compiuta: la vita, la nostra. Ecco il malato, o meglio il diabetico ha un punto di forza proprio dato dal non dare nell’occhio: quello che ci rende speciali sta nell’essere forti per intero; dentro grazie alla consapevolezza fuori poiché nessun segno fa capire agli altri la nostra condizione patologica. La conoscenza avviene solo nell’attimo della comunicazione scritta o verbale, fatte salve situazioni di criticità estrema come una ipoglicemia.
Oggi viviamo nella cosiddetta civiltà della vanità, dell’estetica. dell’immagine, per cui l’importante è apparire più che essere. Ciò che interessa è il consenso dell’opinione pubblica, per cui l’importante è catturare l’attenzione della gente, investire in pubblicità, perché, alla fine, ne vale la pena, è vantaggioso in termini economici.
I giornalisti vanno alla caccia delle notizie più sensazionali, che fanno vendere più facilmente i quotidiani ed i fotoreporter fanno a gara a chi arriva per primo a sorprendere qualche situazione imbarazzante di questo o quel personaggio pubblico da mettere in copertina per stuzzicare la curiosità dei lettori.
Ci si domanda, a volte, chi trae vantaggio da certe trasmissioni televisive fatte di superficialità e pettegolezzi da salotto, mentre i problemi veri della gente sono di tutt’altra specie.
Nel mondo della comunicazione si sente spesso parlare di “grandi eventi”, di convegni internazionali con i rappresentanti dei paesi più industrializzati, più tecnologicamente avanzati e quindi più economicamente ricchi e politicamente potenti, ma che spesso sembrano lasciare il tempo che trovano e generano sfiducia se non ribellione.
Tutto questo mentre la quasi totalità delle persone vive una quotidianità fatta di piccole cose, che, non solo non finiscono sulle prime pagine dei giornali, ma rischiano di essere date per scontate e quasi banalizzate.
Eppure, il futuro di una persona, la vita di una famiglia, la storia di un popolo, il destino dell’umanità dipendono anche dalla determinazione con cui ciascuno si impegna a fare la sua parte, nell’anonimato della vita quotidiana.
Il senso del dovere e della responsabilità personali non sono delle banalità, ma la condizione indispensabile per promuovere e garantire il bene comune, al di là delle leggi che devono garantire i sacrosanti diritti di ogni persona ed offrire un reale sostegno morale ed economico.
Si dice che fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. È bello ed incoraggiante pensare che c’è una foresta di uomini e donne semplici che, nel silenzio del proprio quotidiano impegno, contribuiscono a far crescere un mondo migliore per tutti.
Se ci fosse dato di conoscere quanta dedizione e spirito di sacrificio custodiscono le pareti domestiche di tante nostre case, quante persone vivono la loro professione non semplicemente come fonte di un giusto guadagno, ma anche come servizio e occasione di prossimità, avremmo motivi più che sufficienti per essere fiduciosi, nonostante le incalzanti notizie di cronaca nera dei telegiornali.
Abbiamo bisogno di rinnovare la nostra professione di fede nella vittoria del bene sul male, dell’amore su ogni forma di violenza o di indifferenza.
Penso che sia importante avere la consapevolezza che non sono i grandi gesti che rendono grande una vita, ma è l’amore che rende grandi i piccoli gesti di cui è intessuta la vita di tutti i giorni.
Il senso della nostra testimonianza, dell’esserci nelle parole e nei fatti è tutto qua: chi vuole intendere intenda. Ricordatevi del diabete non solo per i fatti di cronaca ma per quanto si fa nel bene per le persone.