Il diabetico di classe e il diabetico di popolo: tu da quale parte stai? Agli albori della mia malattia, parlo della prima metà degli anni sessanta, il popolo definiva il diabete una malattia per “signori”, ovvero ricchi o comunque benestanti, perché a sentire il pensiero del volgo il tipo di alimentazione necessaria al malato, fatta di quello che oggi definiremmo la dieta mediterranea, ovvero un pasto completo di un poco di pasta, di carne, verdura, frutta e pane era roba che i poveri o comunque i ceti bassi non riuscivano ad ottenere in tavola. Infatti ricordo bene da bimbo i salti mortali che mia madre faceva per farmi ottenere un pasto simile, mentre gli altri mangiavano cose grasse e a costo basso tipo un brodo col pane ammollato, arringa affumicata, oppure zampe di gallina, formaggio fatto in casa e salumi di scarto.
Naturalmente all’epoca non c’era distinzione eziologica tra diabete tipo 1 e 2, cosa emersa successivamente a cominciare dalla fine degli anni 70 in particolare. Ma dal regime alimentare qualcosa si cominciava a capire. Nel caso del diabetico 1 o ex giovanile l’equilibrio alimentare è importante per la sua salute in generale e un migliore assetto glicemico in rapporto al consumo d’energia, ma detto ciò non ha limitazioni di sorta o una lista nera dei cibi, basta che tenga sotto controllo la malattia e può mangiare anche i datteri.
Invece dalla preistoria alimentare del tipo 2 fatta di cibi “spazzatura” accumulati nel tempo, come con quanto descritto poc’anzi, e col combinato disposto dell’allungamento della vita ma anche dell’inattività fisica, ha fatto emergere tutta una serie di patologie da inerzia strutturale tra cui il diabete.
Ed oggi facciamo i conti con una esplosione demografica di malattie, diabete per primo, che mette a repentaglio la garanzia della continuità dell’assistenza sanitaria di base. Senza usare paroloni e frasi fumose o ad effetto, ognuno di noi un’idea l’ha già nell’esatto momento in cui si reca dal medico di base, e non entro nei particolari tanto sarebbe inutile.
Il vero problema, sia con il diabete che nell’insieme del sistema sanitario pubblico è rappresentato dalla complicazione delle cose semplici che spegne l’ultima fiammella accesa della forza di volontà per farsi vedere e curare.
Anziché fare piani faraonici di improbabile esecuzione e realizzazione è urgente adottare misure concrete per snellire i metodi e le procedure, gli strumenti materiali per farlo ci sono da tempo, il vero muro da abbattere è rappresentato dal labirintico diaframma di poteri corporativi e rendite di posizione che rende arduo ma non impossibile il cambiamento.
Infine per quanto riguarda la conduzione personale del diabete, tirando la somma dei dati della glicemia, la media è stata pari a 162 mg/dl. Avanti così!