“Avere il diabete è come essere in guerra e ogni giorno andare in battaglia per limitare i danni, in particolari gli effetti collaterali”. Lo affermava uno che se ne intendeva di guerre e scontri: il generale (feldmaresciallo) Erwin Rommel, la volpe del deserto, e pochi sanno appartenere al galleria dei personaggi famosi con diabete tipo 1, sorto quando aveva quarant’anni a seguito di una febbre.
E superata la digressione storica resta l’attualità del diabete con i suoi sintomi occulti, molti, e palesi, pochi, trattamenti terapeutici e comportamenti, alimentari, di azione e stili di vita solo per citarne alcuni, i più noti e ricorrenti negli articoli specialistici come di cronaca.
I fattori determinanti per ottenere e mantenere un buon compenso glicemico sono sempre, principalmente, legati all’equilibrio tra terapia (insulina, pastiglie ipoglicemizzanti) e apporto alimentare combinato con certa attività fisica come il semplice camminare per almeno trenta minuti al giorno.
Ma non basta a cercare di intercettare le evoluzioni pindariche della glicemia che, in specie nel diabete tipo 1, possono avere delle reazioni estreme in diverse occasioni. La più nota è data dal cosiddetto rimbalzo successivo a una ipoglicemia, l’effetto parallasse una volta assumeva in breve tempo, anche mezz’ora, delle evoluzioni pazzesche tipo montagne russe e tipo da 40 a 400 mg/dl e più. Tali evoluzioni possono essere molto pericolose per la salute e integrità del diabetico sia nel breve che lungo periodo.
Se è vero che è nota l’incidenza sulla glicemia di una errato calcolo della dose d’insulina da iniettare in rapporto al pasto e alla fluttuazione della curva glicemica nell’arco delle ore successive ai pasti così come il profilo basale del farmaco per massima parte del tempo, così non è per altri elementi che contribuiscono a ad alterare i livelli degli zuccheri nel sangue.
Spesso si evoca lo stress tra gli elementi estranei al cibo e inerzia fisica, ma sulla quantificazione e incidenza di tale fenomeno nella glicemia si sapeva ben poco fin a non molto tempo fa, anzi per alcuni diabetologi ancora oggi si dubita circa l’effettiva influenza della tensione e nervosismo nel livelli glicemici.
A sgombrare definitivamente il campo dai dubbi residui ci hanno pensato i sensori continui della glicemia. E anche chi scrive ha avuto modo di constatare l’effettivo peso dello stress sullo zucchero nel sangue. La tensione i fattori emotivi come il nervosismo hanno un peso di oscillazione sulla glicemia tra i 50 e 100 mg/dl di media.
Un test universale per esaminare l’incidenza dello stress sulla glicemia e senza impiegare per forza il sensore glicemico o Holter che dir si voglia lo si ha esaminando il fattore H, come lo chiamo io.
Ovvero prima di recarci alla visita per il diabete controlliamo il valore della glicemia, quindi rifacciamo lo stesso monitoraggio finito il colloquio medico. Capita sovente in coloro che sono soggetti sensibili allo stress di avere valori esattamente superiori a prima.
Comunque se siamo sensibili e reattivi agli stati di tensione e nervosismo non dobbiamo fare l’errore di far sedimentare stress su stress, ma discutere col nostro medico della situazione per affrontarla con modalità idonee e non necessariamente farmacologiche per aiutarci a superarle con successo come è capitato a me.