La ricerca rileva come una sostanza chimica prodotta nel pancreas ha impedito e addirittura invertito il diabete di tipo 1 nei topi e lo stesso si è manifestato sulle cellule beta umane trapiantate nei topi.
GABA, o acido gamma-aminobutirrico, è un amminoacido prodotto dalle stesse cellule beta che producono e secernono insulina.
I dottori Gerald Prud’homme e Qinghua Wang del Centro di Ricerca per le Scienze Biomediche Keenan dell’Ospedale di Saint Michael – Canada, hanno pubblicato un documento nel 2011 che mostrava per la prima volta come le iniezioni di GABA non solo avessero impedito il diabete tipo 1 nei topi, ma anche invertito la malattia.
Un nuovo documento pubblicato (29 novembre), nel numero di dicembre di diabetes journal mostra come GABA fa la stessa cosa nei topi a cui sono state iniettate cellule umane pancreatiche.
Il diabete di tipo 1, precedentemente conosciuto come diabete giovanile, si caratterizza per la distruzione da parte del sistema immunitario delle cellule beta del pancreas. Come risultato, il corpo produce poca o nessuna insulina. L’unico trattamento convenzionale per il diabete di tipo 1 è l’iniezione di insulina, ma la stessa non è una cura in quanto non impedisce o inverte la perdita di cellule beta.
I dottori Prud’homme e Wang hanno anche scoperto che GABA ha notevolmente migliorato il tasso di sopravvivenza delle cellule pancreatiche, quando venivano trapiantate nei topi. Circa il 70 per cento delle cellule pancreatiche muoiono nel momento in cui l’organo viene raccolto e trapiantato. I ricercatori hanno affermato che la loro scoperta potrebbe portare a future ricerche specificamente connesse ai trapianti pancreatici.
GABA è stato conosciuto per decenni per essere un neurotrasmettitore chiave nel cervello, una sostanza chimica che cellule nervose utilizzano per comunicare tra loro, ma il suo ruolo nel pancreas era sconosciuto fino al 2011 grazie al primo passo della ricerca condotta dai ricercatori Prud’homme e Wang.
GABA e le terapie relative dovrebbero essere testati in studi clinici, un processo che potrebbe richiedere diversi anni hanno affermato i due ricercatori, notando che molti trattamenti che funzionano nei topi non sempre si traducono in efficaci terapie sull’uomo.