I lettori del blog oramai mi conoscono per via dei miei post a tema ricerca scientifica sul diabete tipo 1, ma oggi cambio genere per affrontare un aspetto chiave che mi ha fatto avvicinare alla cultura e tradizione sociale italiana: la tavola, la gastronomia. Il mangiare sano e equilibrato per una buona parte di noi americani e diventato da molto tempo un sorta di “diktat”, e per noi diabetici tutto ciò non rappresenta una novità.
Il piatto che per primo mi ha fatto avvicinare e conoscere il mondo italiano voi penserete sia la pasta? Risposta sbagliata, si tratta della Ribollita, come ben sapete una ricetta che deriva dalla tipica zuppa di pane raffermo e verdure che si prepara tradizionalmente in alcune zone della Toscana, in particolare nella Piana di Pisa, nella zona di Firenze e Arezzo. È un tipico piatto “povero” di origine contadina, il cui nome deriva dal fatto che un tempo le contadine ne cucinavano una gran quantità (soprattutto il venerdì, essendo piatto magro) e quindi veniva “ribollito” in padella nei giorni successivi, da qui che prende il nome di ribollita, perché la vera zuppa si riscalda due volte, altrimenti sarebbe una banalissima zuppa di pane e verdure (da non confondersi dunque con la minestra di pane). Probabilmente tale simbiosi è da ritrovarsi grazie alla ricca presenza di legumi, fagioli in particolare, appartenenti alla cucina Tex-Mex. Ecco l’unico neo di tali portate riguarda il conflitto ambientale con uno dei miei hobby: la speleologia: una volta mentre ero impegnato a esplorare una anfratto sotterraneo un irrefrenabile, incontenibile attacco di meteorismo ebbe a manifestarsi, e fin qui nulla da aggiungere se non per semplice fatto che svegliare un animale in letargo (era febbraio) finisce per avere effetti poco simpatici per la tua incolumità.
Il Fred Huakash, il mio MD, sostiene come una alimentazione equilibrata e composta da un patrimo vario di legumi sia di aiuto non solo per l’ottenimento di un buon compenso glicemico ma rappresenti un buon indicatore in generale per la conservazione ottimale del diabete a partire, ad esempio, dalla bocca.
Noi diabetici siamo 2 o 3 volte più a rischio di contrarre una malattia parodontale infettiva, soprattutto nella fasi di ipoglicemia e iperglicemia, quando, cioè, la glicemia non è tenuta sotto controllo, e rischiano di veder peggiorare la malattia nel 37% dei casi, contro un’incidenza dell’11% tra la popolazione non diabetica.
A tale causa contrarre parodontiti può comportare l’insorgere di complicazioni anche gravi. Nelle lesioni parodontali, infatti, si trovano elevate concentrazioni di batteri patogeni Gram-negativi in grado di penetrare i capillari delle gengive ed entrare in circolo nell’organismo, dando origine a episodi di batteriemia e immissione in circolo di tossine.
I colpiti dalla parodontite hanno la tendenza a sviluppare stati infiammatori nell’intero organismo, riscontrabili anche a livello ematico, tendenza accentuata in chi soffre di diabete.
Avere un’infiammazione elevata costante costituisce una fonte di stress per l’organismo e da questa situazione possono nascere disturbi ben più gravi come malattie aterosclerotiche o, addirittura, si può rischiare un infarto miocardico.
I dentisti consigliano di sottoporsi regolarmente a visite di controllo dall’odontoiatra, ma per quanto riguarda i diabetici, questo invito diventa ancora più importante. Inserire un diabetico in un programma di controllo e cura dentale può tradursi in una riduzione del costo delle cure del 20%.
Qui negli USA esiste un tale programma stipulato dall’associazione diabetologi con la corrispettiva dei dentisti per attuare un minimo di controllo e prevenzione, e in Italia?