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speranza-di-vitaVenerdì scorso il mio diabetologo si è accomiatato dopo trent’anni di onorevole servizio medico, fu il mio primo specialista a seguirmi dal momento del passaggio dalla pediatria al mondo degli adulti. Desidero ringraziarlo per l’impegno messo, senza vincoli di mandato, nell’aver cura del mio diabete e anche grazie ai suoi preziosi consigli sono arrivato a superare ampiamente i cinquant’anni di età con il diabete. Menziono il dottor Dave Brenagher poiché all’inizio degli anni 90 mi suggerì di passare al microinfusore per cercare di rendere più stabile il glucosio nel sangue e in quanto riteneva prossimo l’arrivo della chiusura dell’ansa condizione preliminare all’introduzione del pancreas artificiale.

Nelle conversazioni con Roberto rammentiamo come la ricerca del sistema per arrivare all’ansa chiusa, ovvero un metodo di calcolo perfetto per registrare continuamente i valori glicemici e adeguare l’apporto d’insulina così da mantenere compensata in via continuativa la curva della glicemia, e scongiurare una ipoglicemia e iperglicemia, ha la coda lunga: già dalla fine degli anni 70 scienziati, medici e ricercatori in tutto il globo ci stanno provando.

Riprendendo il post pubblicato ieri circa il progetto di pancreas artificiale aperto #OpenAPS desidero condividere una riflessione: manca poco al compimento dei cento anni dalla realizzazione dell’insulina e in questo secolo di innovazioni nel trattamento ce ne sono state sì, ma poi nulla di che sotto il profilo dell’impatto universale nella cura del diabete tipo 1.

Al di là delle previsioni astrologiche o scientifiche su quando e come sarà reale e tangibile il pancreas artificiale, l’insulina intelligente, l’incapsulamento delle cellule beta e molto altro ancora, c’è da cominciare a fare un bilancio di medio periodo di come la comunità diabetica di tipo 1 (sempre che esista, cosa di cui comincio a dubitare) sa essere presente e far sentire il fiato sul collo a tutti i protagonisti del cenacolo scientifico-politico.

Infine una domanda delle cento pistole: come mai sul piatto della bilancia della ricerca, scientifica e tecnologica, gli USA rappresentano ancora e sono la testa di serie nel campo del diabete tipo 1?

Noi diabetici tipo 1 siamo pazienti sì per natura perché la malattia ci ha caricato di un doppio e anche triplo strato di pazienza, ma parte ciò credo sia legittimo ricevere più rispetto e attenzione, assieme a una spinta in avanti significativa nel trovare e realizzare nuove vie terapeutiche.