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Charles BaudelaireSbagliando s’impara? Sì a condizione di aver voglia di imparare e la condizione a monte per farlo sta nell’aver fiducia di se stessi e degli altri, senza la strada è in forte salita e dura, molto dura, se dura. La fiducia è basilare averla nella vita fin dalla nascita, altroché speranza e sogni, la fiducia è uno dei semi dell’albero della vita, e il vento che alimenta la semina e il raccolto successivamente

Quando si è ragazzi si pensa che la vita si viva al giorno, così come viene, si pensa che non studiare una volta, non influenzi quello che si sarà un giorno, si pensa che tanto, prima o poi, se si fa una scelta sbagliata ci sarà sempre il tempo di tornare indietro.

Nel mio piccolo fin da piccino avevo dei “maestri di vita” un poco bohémien: i pediatri che sostenevano e prevedevano la brevità esistenziale con il diabete T1 e miei genitori i quali si avvalevano di pratiche propiziatorie per liberarmi dal malocchio e maledizione di, cui secondo un guaritore “segnatore del fuoco di Sant’Antonio”, ero da trattare con la medicina solstiziale. Per fortuna prevalse la corrente di pensiero baudeleriana in casa e il trattamento insulinico di conseguenza.

Dunque sarebbe bello rimanere giovani per sempre, pensarla sempre così, vivere al giorno, eppure quando cresci ti sembra di aver dormito per un eternità, ti sembra di essere vissuto inutilmente, vedendo sempre il bicchiere mezzo pieno, eppure prima o poi il bicchiere si svuota a forza di bere e ti accorgi che la vita alla fine non è così facile come sembra, ma soprattutto ti rendi conto che se sbagli non sempre puoi tornare indietro e quella vocina che senti nella tua testa è il tuo cervello che ride e continua a ripeterti “Dai coglione, vediamo se la prossima volta segui ancora il cuore”

Esatto va proprio così, però che si può fare quando si è ragazzi, si è ragazzi.

Io da giovane volevo fare la scrittore, si, mi piaceva scrivere, fare parlare la persona che è dentro di me, il mio io interno, quello che alla fine ha sempre ragione.

Mi ricordo che mia madre per il mio decimo compleanno mi regalò una macchina da scrivere, le mie piccole manine le si poggiavano sopra, era così grande e a me sembrava il regalo più bello che avessi mai ricevuto, era laccata nera, con le lettere in bianco; avevo quaranta fogli, mi ricordo che mamma mi disse “Su questi quaranta fogli scriverai di bambini come te, scriverai le loro storie, su queste quaranta pagine scriverai di te e della tua vita”.

E cominciai a farlo, e scrissi le quaranta pagine, poi finito il racconto lo feci leggere a mia madre, la quale, non so se per farmi un piacere o lo credeva davvero, ebbe a dirmi che era bello. Allora siccome avevo fiducia nella mia mamma la utilizzai come agente letterario e feci spedire copia del racconto ad alcune case editrici, ma mai nessuna rispose, sia positivamente che negativamente allo scrittore in erba. Altri racconti estemporanei vennero scritti, con penna a sfera, nel corso dei ricoveri ospedalieri per il diabete, ed erano a sfondo umoristico sulle varie peripezie sanitarie, mie e dei miei compagni di sventura.

Ecco in embrione la genesi di un tentato scrittore che, a distanza di quasi cinquant’anni, ha timidamente aperto l’avventura epistolare con questo blog. Buona domenica!