E mi hanno chiesto che c’è? C’è di stupendo aver preso coscienza di ciò che sono! Tutto quanto vissuto ha avuto il pregio di rendermi forte e consapevole che quelle che molti hanno visto come fragilità, prendendo a piene mani nella convinzione di avermi in pugno, si sono rivelate il mio punto di forza! Inutile è chi calpestando un’anima si sente grande senza sapere che nulla ha più risorse di un’anima ammaccata e dolorante… se non conosci il dolore non riuscirai mai ad apprezzare la gioia, prendere coscienza di ciò che si è e si vuole regala la forza di riappropriarsi della propria dignità.
Prima di chiudere questo non luogo, tra due anni e mezzo, quindi ho tempo per scrivere ancora qualche riflessione, introspezione e impressione vi confido di me, ma un poco alla volta, piano piano, goccia a goccia, estratti del percorso embrionale di un diabete, chiedo venia: diabetico particolare. Domenica scorsa a Olgiate Olona (VA) quando ho avuto l’onore di incontrare i giovani diabetici, bimbi e ragazzi d’oggi, avevo paura di annoiarli circa le peripezie di un mistero buffo rappresentato dallo scrivente. Sì non ho mirabolanti imprese a mio carico, se non l’aver vissuto finora e portato avanti la pellaccia come si può.
Un fatto l’ho raccontato: nei lunghi ricoveri in ospedale durante l’infanzia più che il dolore e la sofferenza alcune elementi hanno segnato profondamente i tratti della mia personalità, giunti fino a qua: la solitudine e la noia, oltre all’altro lato pesante riversato su di me e rappresentato dalla Paura con la p maiuscola diversa ma piena di mia madre e mio padre. La prima era ossessionata a morte dal che potesse capitarmi qualcosa e portarmi alla morte prematura, il secondo invece era accecato dalla responsabilità nei miei riguardi e incapacità ad affrontare e gestire i problemi, oltre a mancare di segni d’affettività anche solo superficiale nei miei riguardi.
Ma tornando a palla su solitudine e noia: la prima semplicemente dovuta alla mancanza di compagnia in ospedale, noi bambini lì dentro avevamo altro da affrontare purtroppo, e fuori dal presidio pediatrico causa il cinturone di sicurezza materno ero visto come una sorta di paria, intoccabile con tutte le conseguenze del caso e immaginabili.
E allora venne in mio soccorso la fantasia, l’immaginazione, l’elaborazione mentale e fervida costruzione di mondi fantastici fatta con l’espressività sia scritta che disegnata. Un percorso nato allora per combattere la noia e, con fasi alterne, portato fino qui oggi. Se volete un modo per essere un cantastorie senza voce.
Comunque le difficoltà nei rapporti coi miei simili, diabetici e non, permangono: evidentemente non sono portato o fortunato a tal proposito. Infatti sei anni fa divenni amico di una coetanea di Genova, infermiera di professione e madre di un giovane adulto diabetico, con la quale si intesse un rapporto epistolare di varia umanità, e non solo trattante l’argomento malattia. Ma anche lì per ragioni misteriose e a me incomprese nulla resta più.
Anche con il blog stessa musica, ma qui finisco di affrontare questo capitolo in vista del prossimo a scalare. Si guarda e cerca di andare avanti.