Non è l’odio che si contrappone all’amore a generare il caos, è l’indifferenza che si scontra con l’amore a generarlo. Poiché per amare bisogna odiare per comprendere la grandezza delle cose, poiché per odiare bisogna amare per comprendere bassezza delle cose.
Odio e amore non sono una dicotomia, per quanto diversi come concetti fanno parte della stessa natura matrigna che li generati, l’indifferenza è la cecità dei sensi.
L’indifferente non ama né odia perché non è capace di odiare nemmeno l’ardito che ama e odia allo stesso tempo, lui lascia passare tutto senza decretare giudizio, non distingue il vero dal falso perché nemmeno ci prova, non gli interessa nulla e l’unica cosa che sa fare è accettare annuendo e annuendo.
“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Inizia così l’art. 1 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo. Parole semplici, queste. Semplici come un bambino che carezza il volto della madre, semplici come il sorriso di un amico, semplici come due occhi che ti guardano e brillano. Parole che smuovono quello che da secoli è imprigionato nelle catene del mondo. Un mondo tassellato di ingiustizie, violenze, orrore, pregiudizi. È un mondo orrendo, questo. Un mondo dove una religione, una nazione, la patria a cui da secoli si è appartenuti, diventano un fenomeno da attaccare, maltrattare, violentare. La libertà viene ostacolata, ogni singolo giorno. La libertà di vivere, di amare, di essere umani. Umanità. Non si tratta di politica, provenienza, religione. Si tratta di umanità. Si tratta di guardare negli occhi una persona e amarla, farla sentire un essere umano, farla sentire speciale. Perché forse, le uniche armi che possediamo per dimostrare al mondo l’errore che commette ogni giorno, sono proprio quegli occhi. Armiamoci di questo, e con questo, con tutto questo, riusciremo a sconfiggere quello che oggi è chiamata violenza, ma che domani chiameremo amore.
Sono pensieri che esulano dal contesto puro della malattia? No, poiché nel momento proprio della privazione di una parte di salute ci accorgiamo, forse, che la mancanza genera bisogno e i bisogni primari non sono cedibili o negoziabili: non puoi chiedere a un tuo simili di non mangiare e bere perché morirebbe. Non puoi chiedere a un tuo simile (malato) di non curarsi poiché aggraverebbe il suo stato fino a portarlo a morire.
Siccome oggi col cibo e la salute si gioca e scherza, e noi diabetici siamo spesso vittime di stereotipi e angherie morali, prese in giro, ecco proprio occorre ancora una volta ricordare come solidarietà prende forma concreta, non come regalia, nel momento in cui ti manca qualcosa essenziale per la sopravvivenza.
Ripetere e ricordare valori che sembrano perduti oggi serve spero per ritrovarli e farli nostri senza più lasciarli scappare, almeno spero.