Vale la pena impegnarsi per il diabete a livello sociale e di volontariato? Riapro una parentesi circa la personale esperienza ricavata dalla partecipazione a varie attività sia locali che no in tale ambito. In diverse occasioni ho postato articoli nel blog sulle contraddizioni e problematicità legate al mondo dell’associazionismo e volontariato, come tra noi diabetici presi singolarmente, dove esprimiamo bene, meglio l’essenza faticando a fare gioco di squadra, traccio la linea a seguito di esperienze vissute di recente in tale contesto come in un passato lontano all’interno di ambiti sì sociali ma slegati dal diabete.
L’italiano ha solitamente l’abitudine di guardare molto indietro anziché avanti, e oggi cerco di essere controcorrente e cercare di volgere lo sguardo a levante e non a ponente cercando di non scottarmi la fronte e danneggiare la vista. Mai come nella fase attuale vedo in situazione nei rapporti umani e sociali sfilacciata e persa senza un direzione, ciascuno smarrito dentro ai fatti suoi come cantava Vasco Rossi con un egoismo spostato da quello opportunistico al meramente edonistico, ma su basi prima argillose ed oggi mobili. Un brutto momento per quanti appartengono veramente alle fasce deboli della società.
Oggi c’è bisogno di impegnarsi, credo, per aggregare e aggregarsi non sulle briciole ma per fare sistema ed essere forza unita nel paese attorno alla causa comune denominata diabete, che non ha confine o barriere da erigere, ma semmai da abbattere. Gli ortaggi fanno bene al diabete nella dieta ma tirati addosso no, ecco i tanti orticelli associativi quando danno buon frutto sono una ricchezza e rendono florido un paese. Poi ci sono orti venuti bene altri meno e naturalmente ci stanno quelli scarsi, aridi o incolti. Fare sistema per me significa lavorare per “fertilizzare” tutti i terreni.
Cinque anni fa scrivevo nel blog: “anche io sono dissociato. In che senso? L’Italia, o quello che di lei resta, è un paese dove regna l’individualismo estremo e aggregare le persone per un obiettivo comune è impresa improba: l’importante è avere notorietà per come si è e non per quello che si fa. A tal proposito anche la sfera associativa di scopo vive la suddetta condizione, in un oceano di rappresentazioni parcellizzate e sminuzzate. E anche noi diabetici siamo all’interno di questa condizione: non un X di associazioni per i diabetici; per rappresentare chi e cosa? Una volta si diceva: l’unione fa la forza; il nostro caso rappresenta benissimo la condizione estrema di debolezza”.
Ecco ripercorrendo questo arco di tempo sono arrivato a una tappa della mia evoluzione legata alla realtà territoriale in cui vivo: Bologna, e in particolare l’associazione diabetici, la quale vive una fase di crisi inaccettabile per una città importante come la mia e per i tanti diabetici presenti (oltre 50.000).
C’è bisogno di presenza e non di fancazzismo, meno che mai di esibizionismo da copertina o, come oggi, da social network. Perché il trucco regge un poco poi sparisce e crolla il mascara e la maschera. E per quanto mi riguarda? Beh va la pena impegnarsi, è la vita stessa a chiederlo, solo occorre farlo sul terreno giusto. Il contadino lo sa: perseverare a seminare su di un terreno arido non da raccolto e allora meglio farlo dove la terra è fertile.