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Una favola per adulti con dentro tanto di noi, a firma di Paul Valenti, l’autore, fa riflettere e ho deciso di condividerla e pubblicarla nel blog. Buona lettura.

Un crostino di verità in un’insalata di ortiche

“Ciao”, disse mentendo.

“Buongiorno”, rispose limando le distanze.

“Siediti.”

“Si sieda, vorrà dire.”

“Lo vorrò.”

“Usi la sedia per mettere una distanza tra lei e la terra: si sentirà migliore.”

“Non penso. Meglio l’ironia. Io per sentirmi migliore uso l’ironia come veicolo per trasportare carichi emotivi troppo pesanti.”

“Interessante. Lei è un tipo strano, lo sa?”

“Lo so. Sono un tipo strano. Anche lei lo è.”

“Sarà per via della mia fronte sfuggente, che scivola sul naso leggermente arcuato. Una linea pulita, come il muso curvo di una capra, o forse di una pecora. Sì, di profilo assomiglio proprio a una pecora.”

“Sarà per quello. Un profilo che viene da lontano, da un mondo ovino d’altri tempi.”

“Direi proprio di sì. Ogni tanto mi guardo allo specchio, non solo per contemplarmi il profilo ma, soprattutto, per vedere se sono sempre io. Non si sa mai. Sarebbe allucinante trovarmi riflesso qualcun altro. Ho sempre un po’ paura di perdermi, alla mia età. Sa quanti anni ho?”

“Non lo so. Potrebbe averne sessanta portati male, o ottanta portati bene.”

“È vero. Né più né meno di quelli. Si vede che lei ha occhio. L’occhio di chi riesce a guardare vicino.”

“Io invece ho cinquant’anni”

…C’ho messo cinquant’anni ad avere cinquant’anni e mi dà fastidio quando qualcuno mi dice che non li dimostro, che sembro più giovane. Mi sembra di avere perso tempo.”

“Stia tranquillo, li dimostra tutti. È caduto pure lei nella trappola del tempo: il tempo cade, goccia a goccia, e nessuna goccia che cade si sente cadere.”

“Sì, e mi va bene così. Lascio che le cose vadano come devono andare, come uno stronzo che rotola giù da una collina.”

“E fa bene. In fondo è tutta un’illusione. E in questa illusione siamo così banali. Crediamo perché vogliamo credere: agli dei perché placano la paura della morte, all’amore perché fa sembrare la vita più bella, alle bugie e illusioni perché è quello che vorremmo credere e sentirci dire.”

“Ma il più grande fallimento dello spirito umano è quello di non riuscire a trascendere le proprie origini da primate.”

“No, non è vero. Non siamo scimmie evolute, ma divinità decadute.”

“Sinceramente, non so se credere in Dio, ma l’importante è che Dio creda in me.”

“Vedrà, la vecchiaia è la vaselina della credulità. Quando la morte bussa alla porta, lo scetticismo salta dalla finestra. Una bella crisi cardiovascolare e si crede pure a …Cappuccetto Rosso.”

“Perché crediamo di vivere le nostre vite, quando poi sono le nostre vite a vivere noi? Tutto nell’esistenza succede per caso, e siamo noi a dare un significato agli eventi dopo che sono accaduti.”

“È vero. Siamo portati a cercare nella realtà più simmetria di quante non ce ne siano. Probabilmente noi uomini capiamo della creazione quanto un cane capisce di telefonia mobile.”

“È probabile. Infatti il mio cane non riesce a mandare un messaggino senza fare errori.”

“Ha un cane?”

“Ho un cane, che però capisce poco di telefonia. E lui ha un umano, che sono io.”

“Meglio il cane del gatto. Seppur quest’ultimo è una sorta di parcheggio cosmico, nel quale indugiano le anime, tra una incarnazione e l’altra. Ha una famiglia?”

“Sono un padre, o perlomeno cerco di esserlo. Ero un bravo padre, prima di avere figli. Poi sono nati loro, e le cose sono cambiate.”

“Se ha figli, è condannato a rimanere un padre per tutta la vita. Loro, i figli, ci lasciano, ma noi non possiamo lasciarli. Mai.”

“Lo so. Mai. Infatti li ho lasciati. Sempre.”

“Io ho due nipotini. A loro non piace la realtà, tranne quando questa realtà dà loro uno spunto per …sostituirla con un’altra realtà.”

“I bambini sono persone serie.”

“I bambini sono dei grandi.”

“È un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente.”

“Però, intanto, mi cadono i capelli.”

“Se cadono, vuol dire che non servono.”

“Ho fame.”

“Non c’entra niente.”

“Non si può mangiare un dolce senza perderlo.”

“Anche questo non c’entra niente.”

“Infatti voglio mangiare e starmene zitto. Spesso passo intere giornate in silenzio. Alla mia età, il più è già stato detto. Cerco di ammazzare il tempo prima che il tempo ammazzi me.”

“Non lo dica nemmeno per scherzo…”

“Infatti lo dico sul serio.”

“Che tristezza… La vecchiaia non è, e non può essere, un buon alibi per l’assenza di futuro.”

“La realtà mi ha insegnato che il futuro non è come lo sognavo, e allora ho scoperto la nostalgia, l’unico svago per chi ne è diffidente. E allora respiro, sospirando, e la mia respirazione avviene, non è mia.”

“Pure io diffido. Molto. Il buio del passato e l’incertezza del futuro mi fan tremare nel presente. Non credo ai fantasmi, ma ne ho paura.”

“Il fatto è che io provo a scacciare il passato e a convincermi che il presente abbia un senso, ma quando guardo al futuro, mi appare con le sembianze di quel che è già stato. Banale!”

“Forse non mi resta che cercarlo nel passato un futuro migliore. Quando guardo in avanti avverto un senso di torpore e un brutto odore di varechina.”

“Se il futuro le sembra brutto, allora non ha idea di cosa la aspetta nel passato. E stia attento a ciò che desidera: potrebbe avverarsi.”

“Grazie”, disse mentendo.

“Prego”, rispose, ormai distante.

Paul Valenti