Qual è la prospettiva dell’assistenza sanitaria alle persone con diabete? Lo si dice dai tempi di Craxi Andreotti e Forlani: tale patologia rappresenta una delle principali sfide e sfighe per il Servizio sanitario nazionale.
La diffusione della malattia è infatti in costante aumento. In Italia ne soffrono oramai più di 5 milioni di persone. Inoltre il diabete ha un forte impatto sanitario, sociale ed economico che richiede un’organizzazione dell’offerta sanitaria in grado di minimizzare il più possibile l’incidenza degli eventi acuti e delle complicanze invalidanti che comportano costi elevatissimi: la cosiddetta prevenzione (detta mai mai fatta) che per il diabete di tipo 2 di origine metabolica significa mantenere uno stile di vita attivo e un regime alimentare equilibrato, mentre per il tipo 1 l’unica prevenzione possibile sta, attraverso il controllo metabolico e glicemico, nel cercare di allontanare l’esordio delle famigerate complicanze patologiche a vari organi (occhi, reni, cuore).
Cosa non meno importante, come per la gran parte delle malattie croniche, il diabete richiede un costante supporto al paziente che rappresenta il primo protagonista della gestione della malattia. Il paese dispone di un sistema di assistenza riconoscibile, sebbene vi siano tuttora differenze territoriali suscettibili di miglioramenti organizzativi, soprattutto sul versante dell’integrazione e della comunicazione tra i vari operatori.
Il sistema è articolato su più livelli, con una decisa differenziazione tra i servizi dedicati alle diverse fasce di età e, in particolare al diabete di tipo 1 insorto in età evolutiva e di cui sparisce poi ogni riferimento col sopraggiungere della maggiore età dove si finisce per fare di tutta un’erba un fascio, e al diabete di tipo 2.
È da questi elementi nasce il Piano sulla malattia diabetica, approvato in Conferenza Stato-Regioni il 6 dicembre 2012, e pubblicato sulla gazzetta ufficiale del 7 febbraio 2013, che rappresenta la cornice all’interno della quale il Servizio sanitario nazionale offre oggi assistenza alle persone con diabete. Occorre però fare una precisazione importante: tale Piano no ha forza di legge o regolamentare sotto il profilo legale e giuridico. E’ un accordo che può essere recepito nei rispettivi ordinamenti regionali poiché la materia sanitaria fa parte delle competenze esclusive delle regioni. Un esempio pratico: la Regione Emilia-Romagna non ha MAI recepito tale Piano con atti formali e di sostanza. E oggi ne paghiamo il risultato con la decomposizione dei centri di riferimento in specie per quanto riguarda il capoluogo regionale – Bologna.
Il Piano, in teoria, tiene conto delle più attuali evidenze scientifiche, disegnando un’organizzazione della rete di assistenza che mette il paziente diabetico al centro e coordina le attività di tutti gli attori dell’assistenza (dalla rete specialistica diabetologica agli operatori che forniscono l’assistenza primaria, il cosiddetto “team”) con l’obiettivo di fornire la migliore assistenza possibile per prevenire e curare le complicanze e garantire la migliore qualità di vita, sottolineando la necessità di passare da un sistema basato sulla “cura” ad uno basato sul “prendersi cura” e nei fatti oggi ci chiediamo “chi se ne cura”?. Tutto questo, se fosse reso in pratica, servirebbe a ottimizzare l’uso delle risorse disponibili, e l’importanza della prevenzione primaria e della diagnosi precoce.
Nella pratica cosa accadrà nei prossimi anni? Per il diabetico di tipo 1 stante le condizioni attuali il servizio pubblico garantirà gli esami e accertamenti rubricati nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza). La parte educativa e di supporto (dieta, e problematiche psicologiche) come percorsi specifici legati alla patologia, saranno erogati fuori dal servizio pubblico. In teoria l’educazione sanitaria fa parte dei LEA ma in pratica non ci sono soldi per incentivare gli operatori sanitari a praticarla, ergo la si potrà non per tutti ma per pochi eletti e a pagamento o tramite organizzazioni non profit.