Invecchiare non è solo una questione anagrafica. Dietro questo inevitabile processo – che porta spesso con sé malattie quali diabete, patologie cardiovascolari, neurodegenerative e tumori – un ruolo importante lo assume l’infiammazione cronica. Ecco perché la ricerca si sta focalizzando nell’identificare i fattori che la scatenano per «spegnere» l’interruttore e rallentare così il più possibile l’invecchiamento e le sue conseguenze. E’ di questo che si discute a Roma alla prima edizione dell’«International Antonio Feltrinelli Conference on Ageing: From Basic Science to Policy Advice» promossa dall’Accademia Nazionale dei Lincei.
Accumulo di danni «Il nostro corpo – spiega Claudio Franceschi, immunologo all’Università di Bologna – è una macchina sempre esposta a stimoli e danni che vengono riparati continuamente. L’invecchiamento non è altro che un accumulo progressivo di questi danni. Ovviamente c’è una grande variabilità da persona a persona, poiché tutti rispondiamo in modo differente agli stimoli». Ma alla base di questi danni, che sempre più risultano evidenti con il passare dell’età, l’infiammazione sembra giocare un ruolo fondamentale. Se quest’ultima è importante nell’eliminazione di pericoli come virus e batteri, quando diventa cronica è un male per il corpo. «Nelle persone anziane – continua Franceschi – l’invecchiamento è caratterizzato da uno stato di infiammazione cronica e di lieve entità. Un fenomeno ribattezzato “infiammaging”, infiammazione (“inflammation”) legata all’invecchiamento (“aging”)».
Pur non essendo immediatamente causa di patologie, l’«infiammaging» sembra però rappresentare uno dei maggiori fattori di rischio per molte malattie associate all’età. Non è un caso, infatti, che negli studi condotti sui centenari – che spesso non sviluppano alcuna di queste patologie croniche – i livelli di infiammazione risultano molto inferiori rispetto al resto degli anziani. Gli attori principali di questo processo sono i macrofagi, componenti del sistema immunitario che, oltre a riconoscere ed eliminare una serie di agenti esterni, hanno il compito di rimuovere dal corpo tutte quelle molecole rilasciate dalle cellule quando vanno incontro alla morte.
Sistema immunitario «Il riconoscimento di queste molecole “fuori posto” – spiega – viene interpretato come segnale di pericolo da parte del sistema immunitario, il quale attiva l’infiammazione per eliminare la “spazzatura molecolare” e riparare il tessuto. Questo fenomeno, del tutto fisiologico, aumenta con l’età, portando così ad un’eccessiva secrezione di molecole infiammatorie». Partendo da questa considerazione, sono sempre di più le aziende biotech che stanno investendo nell’individuazione di molecole capaci di interagire con questi meccanismi di riconoscimento della «spazzatura molecolare». Potendone bloccare l’attività di riconoscimento sarà forse possibile cercare di prevenire quel complesso di problemi che sorgono con l’avanzare dell’età, ma che hanno come base proprio l’infiammazione cronica. Ma, se la prospettiva è in fase di studio nei modelli animali, molto si può fare attraverso il nostro comportamento, con la dieta e l’attività fisica in primis. Diverse analisi dimostrano la bontà della dieta mediterranea nel ridurre il processo di invecchiamento. Potendo seguire questo genere di «menu», anche iniziando in là con gli anni, è possibile ridurre lo stato infiammatorio, migliorando sia la salute cardiovascolare sia le prestazioni cognitive. E in chi segue la dieta i livelli di infiammazione si riducono.
Attori in gioco Risultati importanti, più evidenti quando alla dieta si associa l’attività fisica. «Grazie alla ricerca stiamo identificando sempre di più quali sono gli attori in gioco nel processo di invecchiamento e delle patologie che gli annidi troppo si portano dietro. Unire queste conoscenze – e il relativo sviluppo di molecole capaci di rallentare i fenomeni infiammatori – ad uno stile di vita salutare rappresenterà la chiave per un invecchiamento fisiologico in salute. Se le malattie “età-associate” condividono un’origine infiammatoria, oggi e sempre più in futuro – conclude Franceschi – avremo la possibilità di prevenirle tutte insieme»