
Il dizionario recita: “Storytelling: L’arte del raccontare storie impiegata come strategia di comunicazione persuasiva, spec. in ambito politico, economico ed aziendale.” Ma occorre mai come oggi sapere distinguere tra narrazione, storytelling e vaportelling che costituisce la sempreterna arte di sapere dar d’intendere e vendere fumo per arrosto.
Questa domenica riprendo, dopo una lunga interruzione, a firmare un post e lo faccio perché domani pomeriggio dovrei fare “in presenza” la visita di controllo del diabete dopo che la precedente venne effettuata via cavo telefonico causa quarantena da coronavirus. Venerdì scorso sono riuscito a fare gli esami di laboratorio e, a prescindere dall’esito che è e resta un fatto personale, faccio un paio di considerazioni circa il tempo che viviamo e vivremo da questo 2020 fino ai prossimi quattro, cinque anni.
Bell’atmosfera: in fondo penso a quarant’anni fa: nel 1980 smisi di farmi vedere in diabetologia e tale comportamento andò avanti sino al 1996, quindi il distanziamento sociale è fenomeno ben presente nella “società dei diabetici” che, come in ogni altro consorzio sociale, tendono a fare di testa propria, a torto o ragione, specie quando col passare del tempo non si hanno risposte o si trovano soluzioni.
Oggi prendere le distanze è dovuto alla pandemia virale, ma di pandemie questo tempo ne vive parecchie. Prendere le distanze di sicurezza serve per non contrarre il COVID-19 e non restare tamponati da altre auto, inoltre il distanziamento sociale si manifesta in sanità con l’impiego della telemedicina in sanità. Peccato però che dopo anni e lustri di convegnistica, letteratura e chiacchere sulla materia non si è fatto sistema e la pratica si traduce in una chiacchierata telefonica da computer o altro dispositivo, in assenza di un protocollo, uno standard clinico in grado di rendere integrata la telemedicina con la diagnostica e le visite fisiche. Peccato che non vi siano sistemi integrati in grado di convogliare i dati provenienti da remoto e dai glucometri e CGM in una unica piattaforma che riporti i dati per l’interpretazione a livello clinico, e la cosa non è un dettaglio quando i presidi di monitoraggio glicemico sono centinaia e ciascuno ha un software che viaggia per conto suo.
Quindi se da un lato siamo circondati dalla pandemia COVID-10, dalle pandemie sotto forma di tante patologie croniche: cardiovascolari, oncologiche, metaboliche, autoimmuni e il diabete è tra queste, da una pandemia di dati, di pari passi manca un governo dei flussi e una sintesi strutturata degli stessi, al centro come in periferia.
E per quanto riguarda il diabete il dato, i dati sono di fondamentale importanza per il fornitore di assistenza per il paziente.
Da quando ho aperto il blog sento una parola “magica” che ricorre sempre, specie quando si scrive e si parla di pancreas artificiale: algoritmo, come se fosse il passe-partout di ogni problema. Fai un algoritmo e risolvi il dosaggio dell’insulina se vai a fare cose, o mangi la torta carbonizzata della nonna. Probabilmente è una soluzione, ma la vera svolta ci sarà quando l’algoritmo, con l’inserimento del codice fiscale del paziente, fornirà diagnosi, prescrizione terapeutica e le altre indicazioni sanitarie utili al diabetico in 30”, come faceva Leonard Henry McCoy, il medico di bordo dell’astronave Enterprise nella serie televisiva di fantascienza Star Trek.
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