Comunicazione

La medicina non può prescindere dalla ricerca. L’Italia deve investire e bene: intervista al Presidente dell’Accademia di Medicina di Torino, professor Giancarlo Isaia

L’Accademia di medicina di Torino è una società scientifica, tra le più antiche d’Italia, fondata il 28 novembre 1819 da un gruppo di medici torinesi. Al 1838 risale la fondazione del «Giornale delle Scienze mediche», poi ribattezzato «Giornale dell’Accademia di Medicina». L’istituzione ottiene nel 1842 il primo riconoscimento ufficiale, per decisione di Carlo Alberto, ma è solo nel 1846 che la allora Società medico chirurgica viene insignita del titolo di Accademia Reale. La biblioteca dell’Accademia raccoglie oltre dodicimila volumi di medicina di cui quasi duemila testi antichi.

Oggi abbiamo il piacere e l’onore di intervistare il Presidente dell’Accademia di Medicina in Torino, il professor Giancarlo Isaia e con lui affrontare i temi principali al centro dell’attenzione per lo sviluppo del paese, nel campo della salute e ricerca scientifica, messi ancora più in evidenza dagli effetti della pandemia da coronavirus, e al tempo stesso, per avviare un percorso virtuoso di ripartenza in sicurezza e diretto ad offrire nuove opportunità di sviluppo per i giovani e il benessere della comunità.

Le mutate condizioni della medicina e della società, che mettono in discussione i valori e i mezzi tradizionalmente utilizzati per rappresentare la disciplina o la specialità cui si riferiscono come vengono oggi affrontate dalle società scientifiche? Lo chiediamo al Presidente dell’Accademia di Medicina di Torino, una delle più autorevoli e storiche società scientifiche italiane, il professor Giancarlo Isaia.

Le società scientifiche sono nate nel secolo scorso con una visione settoriale e monospecialistica: la loro attività di formazione e di informazione si è indirizzata ai Medici specialisti in una determinata disciplina (Chirurghi, Ortopedici, Endocrinologi, Ginecologi ecc) e si è tradizionalmente sviluppata attraverso l’organizzazione di congressi, la diffusione di periodici, l’attribuzione di premi e di borse di studio per giovani ricercatori. Con questa impostazione raramente esse hanno potuto impostare la loro attività alla diffusione ed alla “volgarizzazione” dei messaggi scientifici, destinandoli ad una ristretta cerchia di persone. L’Accademia di Medicina di Torino, che non è una società scientifica in senso stretto, ma un’associazione di medici delle più svariate estrazioni culturali,  ha ritenuto da qualche tempo di trasmettere i suoi messaggi con una metodologia “trasversale” cioè  il più possibile comprensibile a tutti i medici e meno improntate al linguaggio specialistico; ciò non è affatto semplice, perché c’è il pericolo di cadere nella banalizzazione dei messaggi, i cui contenuti invece devono essere di elevato livello, ma nello stesso tempo espressi con una metodologia comprensibile a tutti.

 

Oggi in medicina e nella società si sente più che mai crescente la domanda di formazione e informazione in ogni settore ma al tempo stesso c’è la sfida data dalla cosiddetta infodemia, ovvero dalla massa di dati proveniente da internet e dai social media: quali sfide pone il fenomeno sia per i medici che per la ricerca scientifica?

In effetti la diffusione dei dati attraverso mezzi di diffusione informatici non controllati può essere dannosa in quanto, contrariamente a quanto succede per la stampa di lavori o di editoriali che vengono pubblicati dopo aver seguito un percorso di selezione “peer review”, spesso sui media si trova ogni sorta di informazione e anche clamorose “Fake news”.  Di conseguenza, non di rado i medici sono messi in difficoltà da obiezioni o da domande di pazienti che si sono premurati di cercare su Internet informazioni che poi utilizzano, senza però possedere una formazione culturale atta ad interpretarli correttamente. Credo che i medici non debbano assolutamente demonizzare “Dottor Google” e tanto meno rampognare i pazienti che si sono permessi di violare i “santuari della scienza”, ma che debbano invece spiegare chiaramente e con pacatezza al paziente se e quando le informazioni da lui raccolte sono errate o fuorvianti

La ricerca scientifica viene evocata mai così tanto come in questo momento, in parte come effetto della pandemia da COVID-19, e l’Italia non è seconda a nessuno per la qualità e levatura dei suoi ricercatori, ma cosa occorre per fare sistema e renderla competitiva a livello globale? 

La ricerca scientifica italiana si avvale certamente di menti molto raffinate e nel passato ha fornito numerosi contributi, determinanti per l’acquisizione delle conoscenze e per il progresso della medicina; purtroppo, per vari motivi, innanzitutto di tipo economico, ma anche di tipo organizzativo, non sempre la ricerca riesce a produrre risultati coerenti con l’impegno profusa dai ricercatori. Penso che il problema si possa risolvere soltanto attraverso l’erogazione di risorse pubbliche da parte dello Stato, non condizionate dalla notorietà o dall’influenza dei richiedenti,  ma correlate strettamente  con i risultati scientifici raggiunti, focalizzati su determinati argomenti di elevato contenuto sociale; occorre  interrompere i finanziamenti a pioggia, ma ricordare sempre che la ricerca scientifica serve a far progredire la società, e non soltanto a favorire la carriera dei ricercatori.

Un’ultima domanda: se l’informazione, la comunicazione sono il “dominus” attuale, come possiamo rendere patrimonio di tutti la consapevolezza della responsabilità individuale e collettiva della salute umana?

Il discorso è molto complesso e mi limiterò a sottolineare un aspetto molto diffuso: occorre anzitutto che i medici e gli scienziati assumano, in un rigurgito di umiltà, un atteggiamento tale da rendere comprensibili i loro concetti; non sarebbe male se, in occasione di dibattiti pubblici, essi mantenessero un linguaggio e un atteggiamento serio, razionale e coerente con la necessità di far comprendere concetti scientifici anche ai non addetti ai lavori: nuoce moltissimo alla credibilità della ricerca  e dei ricercatori discutere animatamente, tacitare o mancare di rispetto all’interlocutore, pretendere di avere sempre ragione, con un atteggiamento quasi “ideologico” e non di rado arrogante. La scienza può progredire e diffondersi anche con il contributo di chi la pensa diversamente, con il quale occorre attivare una metodologia di comunicazione aperta e argomentata. Vorrei qui citare una celebre frase attribuita a Voltaire che bene sintetizza il giusto atteggiamento degli scienziati, utile a rendere “gli altri” consapevoli della responsabilità collettiva nella tutela della salute: “Io combatto la tua idea, che è diversa dalla mia, ma sono pronto a battermi fino al prezzo della mia vita affinché tu possa esprimere liberamente la tua”


L’Accademia ha recentemente dedicato una seduta scientifica al tema dei cent’anni dell’insulina con Massimo Porta come relatore, qui potete consultare un ampio resoconto dell’incontro, parimenti è disponibile e accessibile la registrazione video dell’evento a questo link.

“Condividi la tua conoscenza. E’ un modo per raggiungere l’immortalità.”
(Dalai Lama)

Ciao Pizza Blue Monday 15 gennaio Giornata mondiale della Neve
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