Cosa tormenta di più il costante pensiero, maniacale e ripetuto o il dolore fisico, la sofferenza generata dalle ferite del corpo? Una domanda apparentemente banale ma che fa la differenza nel distinguo presente costante tra passato e presente. Probabilmente solo alcuni riusciranno a cogliere il punto della questione che, peraltro, non ha conclusione o terapia auto riprodotta se non forzata o indotta, poiché il pensiero c’è e anche se cerchi di nasconderlo o ignorarlo esso appare in qualsiasi momento o età mentre il dolore fisico può essere represso o edulcorato con trattamenti clinici, farmacologici, il tormento della mente viene sedato e l’effetto evidente della condizione si riflette ad esempio nella catatonicità, ma mai sopito.

Leggendo qua e la dalle notizie di fonte scientifica e dalle videate presenti nei siti in rete come dalle pagine dei quotidiani e riviste specializzate vengono ripetute, con regolarità, risultati di ricerche e affini tese a portare al superamento ed eliminazione dei traumi profondi inferti nelle memoria di un individuo colpito da un incidente o malattia grave, come da un perdita, un lutto.

Ma a questo domanda ne segue un’altra: serve fare da pompiere, spegnere l’incendio che brucia l’anima oppure è meglio che faccia il suo corso e dal naturale evolversi si arrivi ad uscirne magari più forti e consapevoli della propria personalità e di un passaggio centrale in tutta la problematica esistente tra uomo e malattia, uomo e difficoltà presenti nella vita. Se riesci ad affrontare i problemi e superare gli ostacoli, a passare le prove che la vita di pone davanti allora maturi, cresci e diventi non solo più forte ma attraverso una maggiore capacità di adattamento grazie alle avversità potrai far fronte alle prossime imprese e in tutto questo processo acquisire nuove e più solide conoscenze oltre a una maggiore sensibilità verso nei problemi, lasciando al prossimo che viene radici su cui fare poggiare una crescita ulteriore verso il domani.

La mia malattia, il diabete tipo 1, e al di là della classificazione etnico-medica, tribale-scientifica, una condizione patologica inguaribile e che mi porterò per tutta la vita in una sorta di ergastolo terapeutico legato alla somministrazione d’insulina e controllo perenne della glicemia, tanto per ripetere il concetto a me stesso e a chi mi legge, è si uno stato nato e innato, sorto in quel ormai lontano inverno del 1963, ma che a far tempo da quella data una cosa mi hai insegnato: credi in te stesso nel bene e vestiti di guanti ignifughi poiché nel corso del tempo di scottature e bruciature ne capiteranno, e quando hanno a che fare con la tua malattia fanno ancora più male.

Un esempio specifico? Beh non uso certe parole in questo blog ma oggi faccio una eccezione per ricordare una cosa che ricade nel mio vissuto ma ritengo possa essere condivisa da una parte di noi: essere preso per il culo fin da piccino, a cominciare proprio dai paladini della salute, i camici bianchi, poi passando dall’alveo familiare senza andare tanto lontano, mi ha portato a essere consapevole di un dato finale: cerca di essere ultimo, perché ad essere primo non porta mai alcun vantaggio, in particolare con una malattia.