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Un team internazionale dimostra che inibire la proteina NBL1 protegge i reni dalla degenerazione diabetica: una nuova strada per prevenire l’insufficienza renale terminale

In un mondo dove la cronicità delle malattie sembra inarrestabile, arriva una notizia che illumina il buio della nefropatia diabetica: bloccare una singola proteina, la NBL1, potrebbe salvare milioni di reni. È quanto emerge da una ricerca innovativa condotta da un team italo-americano guidato da Paolo Fiorina e Francesca D’Addio, con sedi a Milano e Boston.

La nefropatia diabetica, o diabetic kidney disease (DKD), è una delle principali cause di insufficienza renale terminale (ESKD) e colpisce sia pazienti con diabete di tipo 1 che di tipo 2. Fino a oggi, le armi a disposizione per contrastarla erano più palliative che curative. Ma la proteina neuroblastoma suppressor of tumorigenicity 1 (NBL1) potrebbe cambiare le regole del gioco.

NBL1: da spia biologica a bersaglio terapeutico

I ricercatori hanno osservato che livelli elevati di NBL1 nel sangue sono direttamente correlati al rischio decennale di sviluppare insufficienza renale nei pazienti diabetici. Ma non solo: in laboratorio, la NBL1 ha dimostrato di uccidere i podociti, cellule essenziali per la filtrazione renale. La morte di queste cellule è uno degli eventi scatenanti della progressione della DKD.

Il metodo: dallo screening alla protezione

Il team ha utilizzato una libreria di inibitori NBL1, selezionati tramite phage display – una tecnologia avanzata per l’identificazione di molecole terapeutiche – e li ha testati in vitro su podociti umani immortalizzati. I risultati sono stati sorprendenti: i farmaci hanno bloccato l’apoptosi cellulare, riportando alla normalità l’espressione dei marcatori specifici dei podociti.

Per simulare l’effetto sull’organismo umano, i ricercatori hanno poi impiegato organoidi renali derivati da cellule staminali, modelli tridimensionali che mimano la struttura del rene umano, e successivamente hanno testato gli inibitori su modelli murini affetti da nefropatia diabetica indotta (topi STZ e Db/Db).

I risultati: un freno al danno renale

Nei topi trattati, l’inibizione di NBL1 ha portato a:

  • una significativa riduzione dell’albumina e della creatinina urinarie (marcatori chiave del danno renale),
  • una diminuzione dell’espansione mesangiale (processo patologico che compromette il glomerulo),
  • un blocco della fibrosi renale,
  • il ripristino della funzione podocitaria.

In parole semplici? Reni più sani e un potenziale arresto nella progressione verso l’insufficienza renale cronica.

Una frontiera ancora sperimentale

Nonostante i risultati siano promettenti, siamo ancora in fase preclinica. Gli inibitori di NBL1 non sono ancora pronti per l’uso nei pazienti umani, ma rappresentano una nuova frontiera terapeutica, come sottolineano gli autori. Il passo successivo sarà la validazione clinica attraverso studi di fase 1 e 2.

Italia e USA unite nella ricerca

Lo studio è il frutto di una collaborazione tra centri di eccellenza italiani – tra cui l’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano – e il prestigioso Joslin Diabetes Center di Boston. Tra gli autori, nomi noti della diabetologia e della nefrologia, come Andrzej Krolewski e Moufida Ben Nasr, oltre al già citato Paolo Fiorina, che ha firmato numerose pubblicazioni di frontiera nel campo del trapianto e della medicina rigenerativa.

Conclusioni

Bloccare NBL1 non è solo un atto biochimico: è un gesto di speranza. In un’epoca dove il diabete è la nuova pandemia silenziosa, proteggere i reni significa allungare la vita, migliorarne la qualità e risparmiare enormi costi sanitari.

Il futuro è ancora da scrivere, ma oggi abbiamo una nuova parola da annotare nel lessico della cura: NBL1.


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