Uno studio italiano indaga i linfociti CD8 nel grasso viscerale dei pazienti con diabete di tipo 1, rivelando un profilo immunitario unico e una sorprendente assenza di tracce autoimmuni pancreatiche. A guidare la danza, potrebbero essere… i virus.
Milano, Boston – In un mondo dove le cellule parlano, quelle del nostro grasso viscerale sussurrano segreti inascoltati. E se ad ascoltarle fosse la scienza? È ciò che hanno fatto i ricercatori italiani guidati da Alessandra Petrelli, Paolo Fiorina e Lorenzo Piemonti, protagonisti di un’indagine affascinante presentata alle sessioni scientifiche dell’ADA 2025, che ha esplorato il fenotipo e la clonalità dei linfociti CD8 derivati dal tessuto adiposo viscerale (VAT) nei pazienti con diabete di tipo 1 (T1D).
Il punto di partenza? L’ormai consolidato legame tra diabete tipo 1 e insulino-resistenza. Ma questa volta lo sguardo si è spostato là dove l’infiammazione metabolica prende casa: nel grasso profondo dell’addome. I linfociti CD8, cellule chiave del sistema immunitario, sono stati isolati dal VAT di pazienti sottoposti a trapianto rene-pancreas, confrontandoli con quelli di pazienti obesi con e senza diabete di tipo 2 (OB-T2D e OB-ND), e soggetti magri di controllo (LC).
18 sfumature di CD8: il grasso non mente
Grazie all’analisi scRNA/TCR-seq – un doppio salto carpiato tra RNA e recettori clonali – sono stati identificati 18 cluster distinti di CD8. In tutti i gruppi, dominano cellule con tratti citotossici e esausti, ma nel T1D spiccano anche sottopopolazioni proliferanti, iNKT, NK-like e, soprattutto, CD8 terminalmente esausti: veri stakanovisti dell’immunità che, tuttavia, sembrano aver perso la bussola.
Nei soggetti OB-T2D, invece, abbonda l’infiammazione più classica: cellule CD8 pronte al combattimento e a infiammare il terreno. Un quadro che riecheggia le ormai ben note correlazioni tra obesità, insulino-resistenza e immunità alterata.
TCR: chi stai cercando, soldato?
Il cuore dello studio batte nel sequenziamento dei TCR, i recettori che identificano l’obiettivo del linfocita. Nei pazienti con T1D, il repertorio appare eterogeneo, con clonotipi espansi soprattutto nei CD8 transizionali e polifunzionali. Tuttavia, quando i ricercatori cercano riferimenti a noti autoantigeni delle isole pancreatiche, trovano… il nulla.
Sorprendentemente, i clonotipi “pubblici” – cioè condivisi tra più individui – risultano specifici per antigeni virali, e non per quelli associati al pancreas. Come dire: le armi ci sono, i soldati anche, ma forse stanno sparando al bersaglio sbagliato. O meglio: stanno reagendo a un’infezione virale più che a un’aggressione autoimmune.
Virus e infiammazione: una vecchia storia che torna a galla
I risultati suggeriscono che il tessuto adiposo – troppo spesso relegato a mero deposito – possa fungere da archivio immunitario. E forse da campo di battaglia. Lì si accumulano cellule con memoria, esauste e polifunzionali, pronte a rispondere a vecchie minacce.
In questo contesto, i virus emergono come scultori del repertorio immunitario. Un’ipotesi che fa eco a studi precedenti, secondo cui infezioni virali precoci potrebbero alterare la tolleranza immunologica e aprire la strada al diabete di tipo 1. Ma ora la scena si sposta dal pancreas al grasso, da un luogo d’attacco a un luogo di formazione.
Conclusioni: la nuova frontiera del diabete è… grassa?
I ricercatori lanciano un messaggio chiaro: il VAT non è un semplice spettatore, ma un attore immunologicamente attivo. Nel diabete tipo 1, potrebbe ospitare cellule T “allenate” da virus più che da autoantigeni. E questo cambia la narrativa: forse, per capire e prevenire il T1D, dobbiamo smettere di guardare solo al pancreas e iniziare a osservare con attenzione ciò che si muove nel profondo dell’addome.
Una nuova visione si apre: quella di un diabete di tipo 1 virale-sensibile, influenzato dal dialogo tra infezione e infiammazione metabolica. La lotta al diabete passa anche per il grasso. E stavolta non è una metafora.
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