Il trapianto di isolotti pancreatici con supporto vascolare in un contesto scientifico avanzato.Il trapianto di isolotti pancreatici con supporto vascolare in un contesto scientifico avanzato.

Nonostante l’innovazione tecnologica, app, sensori e intelligenza artificiale faticano a entrare nella pratica clinica. Due ricercatori del Karolinska Institutet propongono sei strategie per colmare il divario tra sperimentazione e utilizzo concreto.

Nel laboratorio della scienza si accendono luci promettenti, ma troppe volte si spengono prima di arrivare al letto del paziente. È il destino, purtroppo comune, di numerosi strumenti di salute digitale: app per l’autogestione, sensori intelligenti, algoritmi predittivi basati su intelligenza artificiale. Prodotti della ricerca più avanzata che, nonostante l’efficacia dimostrata, restano confinati nei documenti scientifici o nelle piattaforme sperimentali. Un’occasione persa? Forse. O forse no, se si seguono le giuste rotte.

Lo affermano con decisione due ricercatori di fama internazionale: Marie Löf, professoressa di nutrizione presso il Dipartimento di medicina di Huddinge del Karolinska Institutet, e Ralph Maddison, professore associato straniero presso lo stesso dipartimento dal luglio 2024. In un articolo pubblicato su Nature Medicine, lanciano un appello concreto alla comunità scientifica: è ora di trasformare la promessa in presenza, la teoria in terapia.

Il paradosso della salute digitale

La tecnologia ha spalancato nuove possibilità per la gestione delle malattie croniche. Diabete di tipo 2, patologie cardiovascolari, obesità: tutti campi in cui app e sensori possono rivoluzionare la prevenzione, migliorare l’aderenza terapeutica e favorire un’autonomia consapevole da parte dei pazienti.

Eppure, avverte Löf, «è frustrante vedere quanti sforzi vengono dedicati allo sviluppo e alla sperimentazione di soluzioni digitali, per poi scoprire che non vengono utilizzate nella pratica clinica». Perché?

Spesso si tratta di ostacoli prevedibili: mancanza di infrastrutture, modelli economici poco sostenibili, strumenti non pensati per la scalabilità o non accessibili a persone con bassa alfabetizzazione sanitaria o barriere linguistiche. Insomma, si costruiscono strumenti digitali senza costruire il contesto perché possano funzionare.

Le sei raccomandazioni per cambiare rotta

Per uscire da questa impasse, Löf e Maddison propongono sei strategie fondamentali, rivolte principalmente ai ricercatori ma utili anche a policymaker, medici e sviluppatori. Vediamole:

  1. Pianificare l’implementazione fin dall’inizio.
    Non aspettare che lo studio sia concluso per pensare a come integrare lo strumento nella sanità pubblica. L’adozione clinica va pensata fin dai primi passi.
  2. Coinvolgere i pazienti e gli operatori sanitari.
    Chi usa davvero questi strumenti? Se non sono co-progettati con chi li vivrà quotidianamente, rischiano di non essere mai accettati o compresi.
  3. Valutare la sostenibilità economica.
    Un’app brillante ma insostenibile economicamente non sopravvive. Occorre un business model che garantisca durata e accessibilità.
  4. Garantire equità e accessibilità.
    Gli strumenti devono funzionare per tutti: a prescindere dal livello di alfabetizzazione, dalla lingua parlata o dalle capacità digitali.
  5. Adattarsi a contesti diversi.
    Un’app efficace in Svezia non è automaticamente utile in India o in Italia. Bisogna pensare alla localizzazione e alla scalabilità globale.
  6. Monitorare e aggiornare.
    La tecnologia evolve, così come i bisogni. Uno strumento digitale deve essere dinamico, aggiornabile, reattivo.

Un esempio concreto: il diabete gestazionale

I due ricercatori stanno già mettendo in pratica le sei raccomandazioni attraverso lo sviluppo di una piattaforma multilingue per l’autogestione del diabete gestazionale. Non un semplice esperimento, ma un caso scuola: progettato con pazienti reali, pensato per essere distribuito su larga scala, attento alle differenze culturali e linguistiche.

Conclusione: dalla promessa alla pratica

Il cammino della salute digitale è affascinante quanto tortuoso. Ma non è sufficiente che una tecnologia funzioni in laboratorio: deve arrivare dove serve. In corsia. A casa. Nei consultori. Sul cellulare di chi lotta ogni giorno per tenere sotto controllo una patologia cronica.

Le parole di Löf e Maddison suonano come una sveglia: serve una scienza che non si accontenti di brillare, ma che voglia illuminare davvero la vita delle persone.

Ulteriori informazioni: Marie Löf et al., Implementare la salute digitale a supporto dell’autocura delle malattie croniche, 
Nature Medicine (2025). DOI: 10.1038/s41591-025-03729-0


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