Chi vive con il diabete di tipo 1 sa bene quanto sia importante controllare la glicemia ogni giorno, ma forse non tutti sanno che questa forma di diabete comporta anche un significativo aumento del rischio di malattie cardiovascolari. Infarto, ictus e altre patologie del cuore e dei vasi sanguigni tendono a verificarsi più frequentemente nelle persone con diabete di tipo 1 rispetto a chi non è diabetico. Numerosi studi recenti lo confermano: le malattie cardiache rappresentano la principale causa di malattia e di morte nelle persone con diabete di tipo 1. Questo rischio cardiovascolare aggiuntivo è presente anche quando il diabete di tipo 1 insorge in età adulta (non è quindi solo un problema del diabete “giovanile”) e richiede attenzione sia da parte dei pazienti che dei medici. La buona notizia è che, conoscendo i meccanismi e i fattori di rischio coinvolti, è possibile adottare misure efficaci di prevenzione e migliorare la prognosi.

Il rischio cardiovascolare nel diabete tipo 1: cosa dicono gli studi recenti

Negli ultimi anni, la ricerca ha fatto luce sull’entità del rischio cardiovascolare associato al diabete di tipo 1, soprattutto negli adulti. Uno studio svedese pubblicato nel 2022 ha analizzato i dati di oltre 45.000 persone con diabete tipo 1 registrate tra il 2002 e il 2019, confrontandole con oltre 220.000 individui senza diabete. I risultati hanno evidenziato che, nonostante i progressi terapeutici, i pazienti con diabete 1 presentavano ancora un’incidenza notevolmente più alta di eventi cardiovascolari maggiori rispetto alla popolazione generale. In particolare, nel triennio più recente esaminato (2017-2019) il tasso di infarto del miocardio, scompenso cardiaco e ictus nei diabetici di tipo 1 era da 3,4 a 5 volte superiore rispetto ai controlli senza diabete. Anche la mortalità totale risultava circa tripla: 7,6 decessi per 1000 persone/anno tra i diabetici tipo 1 contro 2,2 per 1000 nei non diabetici. Ciò conferma che il diabete tipo 1 comporta ancora oggi un importante eccesso di rischio cardiovascolare e di mortalità, sebbene rispetto al passato la situazione sia migliorata (il tasso di eventi si è ridotto nel tempo sia nei diabetici che nei non diabetici, grazie a migliori cure).

Un altro dato significativo emerso dalla ricerca riguarda il diabete di tipo 1 diagnosticato in età adulta. Tradizionalmente il diabete tipo 1 veniva chiamato “diabete giovanile”, ma in realtà può insorgere a qualsiasi età. Uno studio del 2025 condotto dal Karolinska Institutet di Stoccolma ha seguito oltre 10.000 persone a cui il diabete di tipo 1 era stato diagnosticato da adulti (dopo i 18 anni), confrontandole con più di 500.000 coetanei senza diabete. I ricercatori volevano capire se chi sviluppa il diabete 1 in età più avanzata avesse un rischio cardiaco differente. I risultati sono stati chiari: queste persone presentavano un rischio marcatamente più alto di malattie cardiovascolari e di morte per qualsiasi causa rispetto al gruppo di controllo. Inoltre, chi aveva sviluppato il diabete dopo i 40 anni non aveva una prognosi migliore rispetto a chi lo aveva sviluppato in gioventù. In altre parole, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il diabete di tipo 1 ad esordio nell’adulto **non è “più benign# Diabete di tipo 1 in età adulta: il legame con rischio cardiovascolare e mortalità

Chi vive con il diabete di tipo 1 sa bene quanto sia importante controllare la glicemia ogni giorno, ma forse non tutti sanno che questa forma di diabete comporta anche un significativo aumento del rischio di malattie cardiovascolari. Infarto, ictus e altre patologie del cuore e dei vasi sanguigni tendono a verificarsi più frequentemente nelle persone con diabete di tipo 1 rispetto a chi non è diabetico. Numerosi studi recenti lo confermano: le malattie cardiache rappresentano la principale causa di malattia e di morte nelle persone con diabete di tipo 1. Questo rischio cardiovascolare aggiuntivo è presente anche quando il diabete di tipo 1 insorge in età adulta (non è quindi solo un problema del diabete “giovanile”) e richiede attenzione sia da parte dei pazienti che dei medici. La buona notizia è che, conoscendo i meccanismi e i fattori di rischio coinvolti, è possibile adottare misure efficaci di prevenzione e migliorare la prognosi.

Il rischio cardiovascolare nel diabete tipo 1: cosa dicono gli studi recenti

Negli ultimi anni, la ricerca ha fatto luce sull’entità del rischio cardiovascolare associato al diabete di tipo 1, soprattutto negli adulti. Uno studio svedese pubblicato nel 2022 ha analizzato i dati di oltre 45.000 persone con diabete tipo 1 registrate tra il 2002 e il 2019, confrontandole con oltre 220.000 individui senza diabete. I risultati hanno evidenziato che, nonostante i progressi terapeutici, i pazienti con diabete 1 presentavano ancora un’incidenza notevolmente più alta di eventi cardiovascolari maggiori rispetto alla popolazione generale. In particolare, nel triennio più recente esaminato (2017-2019) il tasso di infarto del miocardio, scompenso cardiaco e ictus nei diabetici di tipo 1 era da 3,4 a 5 volte superiore rispetto ai controlli senza diabete. Anche la mortalità totale risultava circa tripla: 7,6 decessi per 1000 persone/anno tra i diabetici tipo 1 contro 2,2 per 1000 nei non diabetici. Ciò conferma che il diabete tipo 1 comporta ancora oggi un importante eccesso di rischio cardiovascolare e di mortalità, sebbene rispetto al passato la situazione sia migliorata (il tasso di eventi si è ridotto nel tempo sia nei diabetici che nei non diabetici, grazie a migliori cure).

Un altro dato significativo emerso dalla ricerca riguarda il diabete di tipo 1 diagnosticato in età adulta. Tradizionalmente il diabete tipo 1 veniva chiamato “diabete giovanile”, ma in realtà può insorgere a qualsiasi età. Uno studio del 2025 condotto dal Karolinska Institutet di Stoccolma ha seguito oltre 10.000 persone a cui il diabete di tipo 1 era stato diagnosticato da adulti (dopo i 18 anni), confrontandole con più di 500.000 coetanei senza diabete. I ricercatori volevano capire se chi sviluppa il diabete 1 in età più avanzata avesse un rischio cardiaco differente. I risultati sono stati chiari: queste persone presentavano un rischio marcatamente più alto di malattie cardiovascolari e di morte per qualsiasi causa rispetto al gruppo di controllo. Inoltre, chi aveva sviluppato il diabete dopo i 40 anni non aveva una prognosi migliore rispetto a chi lo aveva sviluppato in gioventù. In altre parole, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il diabete di tipo 1 ad esordio nell’adulto non è più “lieve” né comporta rischi trascurabili: al contrario, ha la stessa serietà in termini di complicanze cardiovascolari e va gestito con la medesima attenzione. Lo studio svedese ha anche evidenziato alcuni fattori correlati alla prognosi: ad esempio, le persone con diabete tipo 1 adulto che avevano esiti peggiori tendevano ad avere controllo glicemico insufficiente, sovrappeso/obesità e fumo di sigaretta più spesso di quelle con esiti migliori. Curiosamente, è emerso anche che erano meno propensi ad utilizzare tecnologie come il microinfusore insulinico rispetto ad altri pazienti. Ciò suggerisce che una maggiore adozione di strumenti avanzati (microinfusori, sensori per il monitoraggio continuo della glicemia, ecc.) e un’attenzione intensiva allo stile di vita potrebbero migliorare la salute cardiovascolare di questi pazienti. Come affermano gli autori, “mostriamo che la prognosi può migliorare significativamente prevenendo il fumo e l’obesità e migliorando il controllo glicemico” nei diabetici di tipo 1, anche in quelli diagnosticati in età più avanzata.

Perché il diabete di tipo 1 aumenta il rischio per il cuore? I meccanismi principali

Quali sono le cause alla base dell’aumento di rischio cardiovascolare nel diabete tipo 1? La risposta breve è: l’iperglicemia cronica (livelli elevati di glucosio nel sangue nel lungo termine) provoca danni diffusi nel sistema vascolare. In particolare, lo zucchero in eccesso danneggia gradualmente le pareti dei vasi sanguigni, innescando processi infiammatori, aumentando la rigidità delle arterie e provocando disfunzioni delle cellule endoteliali (le cellule che rivestono l’interno dei vasi). Tutto ciò favorisce lo sviluppo di aterosclerosi – la formazione di placche nelle arterie – che può portare a infarti (se le placche ostruiscono le coronarie) o ictus (se ostruiscono le arterie cerebrali). Nel diabete di tipo 1 questi processi aterosclerotici risultano accelerati dalla continua esposizione ad alti livelli glicemici fin dalla giovane età. Studi a lungo termine hanno infatti dimostrato che mantenere una glicemia sotto controllo sin dai primi anni di malattia riduce drasticamente le complicanze cardiovascolari: ad esempio, nel famoso studio DCCT/EDIC, i pazienti con diabete 1 in terapia intensiva (miglior controllo glicemico) hanno avuto nel follow-up a lungo termine un rischio cardiovascolare inferiore del ~30% rispetto a quelli in terapia standard.

Oltre all’iperglicemia di per sé, giocano un ruolo anche le complicanze e i fattori associati al diabete. Un esempio importante è la nefropatia diabetica: il danno renale (microalbuminuria, insufficienza renale) spesso conseguente ad anni di diabete. I problemi ai reni contribuiscono ad aumentare il rischio cardiovascolare in modo significativo. Reni malfunzionanti infatti alterano l’equilibrio pressorio e ormonale, e la presenza di proteinuria (perdita di proteine nelle urine) è considerata un segnale di alto rischio cardiovascolare nei diabetici. Un altro fattore sotto studio è la variabilità glicemica: non solo la media della glicemia elevata, ma anche le oscillazioni frequenti tra picchi iperglicemici e ipoglicemie, possono “stressare” il sistema cardiovascolare. Alcuni ricercatori suggeriscono che le oscillazioni continue del glucosio nei diabetici tipo 1 possano contribuire al danno cardiaco più che nel diabete tipo 2. In pratica, mantenere una glicemia il più stabile possibile potrebbe essere vantaggioso.

Dal punto di vista dei lipidi nel sangue, i diabetici tipo 1 hanno spesso un profilo particolare: tendono ad avere trigliceridi relativamente bassi e livelli di colesterolo HDL (“buono”) più alti rispetto ai soggetti con diabete tipo 2. Verrebbe da pensare che questo sia protettivo. Tuttavia, studi recenti hanno scoperto che l’HDL dei pazienti con diabete tipo 1 può risultare meno efficace nel proteggere i vasi, perché può diventare un HDL “difettoso” pro-infiammatorio. Inoltre, se il diabete è mal controllato, anche nel tipo 1 possono comparire livelli elevati di colesterolo LDL (“cattivo”) e altri elementi della sindrome metabolica (sovrappeso addominale, ipertensione) analoghi a quelli del tipo 2, aggravando ulteriormente il rischio di aterosclerosi.

Infine, va ricordato che il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmune. Chi ne è affetto ha una predisposizione ad altre malattie autoimmuni e uno stato infiammatorio cronico che potrebbe coinvolgere anche il cuore. Studi innovativi hanno scoperto, ad esempio, la presenza di autoanticorpi diretti contro il cuore in pazienti con diabete 1 di lunga data e controllo glicemico non ottimale. Questi autoanticorpi (diretti contro proteine del muscolo cardiaco) si osservano solo nei diabetici tipo 1 e non nei non diabetici o nei diabetici tipo 2, e potrebbero contribuire a un’“infiammazione del cuore” dopo eventi come l’infarto. Si tratta di un filone di ricerca ancora in sviluppo, ma che evidenzia come il meccanismo del rischio cardiovascolare nel diabete 1 sia complesso, coinvolgendo non solo i classici fattori (colesterolo, pressione, ecc.) ma anche aspetti peculiari legati all’autoimmunità e all’effetto diretto dell’iperglicemia prolungata sui tessuti.

Prevenzione, diagnosi precoce e gestione: come ridurre il rischio cardiovascolare

Di fronte a questi dati, la domanda cruciale è: cosa si può fare per ridurre il rischio cardiovascolare nelle persone con diabete di tipo 1? La buona notizia è che molto si può fare. Gli stessi studi citati indicano che una parte importante del rischio non è inevitabile, ma dipende dal controllo dei fattori di rischio modificabili. Ad esempio, nello studio svedese del 2022, i pazienti con diabete tipo 1 senza complicanze renali e con buon controllo metabolico hanno mostrato tassi di mortalità cardiovascolare simili a quelli dei non diabetici. In particolare, mantenere l’emoglobina glicata (HbA1c) attorno o sotto 7,0-7,5% nel lungo periodo è associato a una drastica riduzione del rischio di infarto, fino a renderlo quasi sovrapponibile a quello delle persone senza diabete. Questo significa che un controllo glicemico ottimale può davvero fare la differenza. Ovviamente, raggiungere e mantenere una glicata nei target non è semplice, ma oggi ci sono strumenti tecnologici (sensori, microinfusori, algoritmi intelligenti) che aiutano a gestire meglio la terapia insulinica e minimizzare le iper e ipo-glicemie. Ogni paziente dovrebbe discuterne col proprio diabetologo per individuare la strategia migliore di intensificazione della terapia, se necessaria.

Accanto alla glicemia, tutti gli altri fattori di rischio cardiovascolare vanno affrontati con decisione. Le linee guida internazionali sul diabete raccomandano di trattare i pazienti tipo 1 in prevenzione cardiovascolare in modo simile ai tipo 2 ad alto rischio. In pratica, ciò significa: controllare con regolarità la pressione arteriosa e mantenerla nel range ottimale (spesso il target è <130/80 mmHg, se tollerato), intervenendo con farmaci antipertensivi (come ACE-inibitori o sartani) soprattutto se vi è anche nefropatia. Controllare i lipidi nel sangue: se il colesterolo LDL risulta alto, il medico potrà prescrivere una terapia con statine per abbassarlo, considerato che nei diabetici l’uso di statine per prevenire infarti è ampiamente comprovato. Anche l’aspirina a basse dosi talvolta viene raccomandata in prevenzione secondaria (cioè se c’è già stata, ad esempio, un’angioplastica o un infarto). Importante è anche smettere di fumare: il fumo di per sé raddoppia il rischio di infarto, e in combinazione col diabete gli effetti nocivi sul sistema vascolare si sommano. Come visto, nello studio sui diabetici adulti, il fumo rappresentava uno dei principali fattori associati a prognosi peggiore. Dunque, abolire il fumo è probabilmente l’intervento più efficace in assoluto per un diabetico che voglia proteggere il proprio cuore, assieme al controllo glicemico.

La prevenzione passa anche per uno stile di vita sano a 360 gradi. Ciò include seguire un’alimentazione equilibrata (ricca di verdura, fibra, con moderato apporto di grassi saturi e zuccheri semplici), mantenere un peso corporeo nella norma, e praticare attività fisica regolare. L’esercizio, in particolare, è un potente alleato: le linee guida suggeriscono almeno 150 minuti di attività fisica aerobica moderata a settimana (ad esempio camminata a passo svelto, bicicletta, nuoto) più esercizi di rafforzamento muscolare un paio di volte a settimana. L’attività fisica migliora la sensibilità all’insulina, aiuta a controllare la glicemia e i grassi nel sangue, e riduce la pressione. Anche una buona qualità del sonno e la gestione dello stress cronico possono avere benefici indiretti sul controllo metabolico e cardiovascolare. In sintesi, il diabete di tipo 1 non condanna affatto a sviluppare per forza malattie cardiache: adottando questi comportamenti e terapie, il rischio si riduce in modo significativo.

Un altro aspetto fondamentale è la diagnosi precoce sia del diabete stesso sia di eventuali complicanze cardiovascolari in fase iniziale. Riguardo al diabete di tipo 1 negli adulti, purtroppo non è raro che venga diagnosticato tardi o scambiato inizialmente per diabete tipo 2. Uno studio statunitense del 2023 ha rilevato che quasi 40% dei pazienti adulti con diabete di tipo 1 viene diagnosticato dopo i 30 anni e spesso dopo un periodo iniziale di diagnosi errata come tipo 2. Questo ritardo può comportare un periodo di controllo glicemico subottimale (se trattati con farmaci orali inadeguati anziché con insulina), con possibili conseguenze. Riconoscere tempestivamente un diabete tipo 1 nell’adulto – ad esempio dosando gli autoanticorpi pancreatici in soggetti magri con iperglicemia marcata – consente di instaurare subito la terapia insulinica appropriata e ottenere un miglior controllo metabolico, proteggendo fin dall’inizio cuore e arterie da esposizioni prolungate a glucosio elevato.

Per quanto riguarda la diagnosi precoce delle complicanze cardiache, è bene che le persone con diabete 1, specie se di lunga data, eseguano regolarmente i controlli clinici programmati: visite con elettrocardiogramma, ecocardiogramma se indicato, controlli dei parametri ematici (colesterolo, funzione renale), monitoraggio della circolazione (ad esempio ecodoppler delle carotidi se ci sono più fattori di rischio). Il medico valutera caso per caso se e quando approfondire con esami specifici (come test da sforzo, TAC cardiaca per misurare il calcio coronarico, etc.), in base ai sintomi e al profilo di rischio individuale. L’importante per il paziente è segnalare prontamente eventuali sintomi sospetti come dolore al petto, affanno inusuale sotto sforzo, palpitazioni, o dolore a gambe durante la camminata: potrebbe trattarsi di segnali di angina, scompenso o arteriopatia periferica, che vanno indagati subito. Prendere in carico precocemente un problema cardiovascolare (per esempio scoprire di avere coronarie ostruite prima che avvenga un infarto conclamato) permette di trattarlo con angioplastica o farmaci, migliorando l’aspettativa di vita.

In conclusione, il legame tra diabete di tipo 1 e rischio cardiovascolare è ben documentato e rilevante, ma non deve portare al pessimismo. Al contrario, deve spronare pazienti e sanitari a collaborare per ridurre al minimo quel rischio. Oggi disponiamo di conoscenze e strumenti migliori che in passato: terapie personalizzate, tecnologia per il monitoraggio continuo, farmaci efficaci per pressione e lipidi, e una maggiore consapevolezza generale. Un paziente informato, aderente alle terapie e attento allo stile di vita ha ottime probabilità di evitare le complicanze più gravi e condurre una vita lunga e sana. Come dimostrano gli studi, l’eccesso di rischio cardiovascolare nel diabete tipo 1 può essere ridotto e, in alcuni casi, quasi azzerato con una gestione ottimale.

Domande frequenti (FAQ)

D: Il diabete di tipo 1 aumenta davvero il rischio di infarto rispetto a chi non ha il diabete?
R: Sì. Numerosi studi lo confermano. Nel diabete di tipo 1 il rischio di complicanze cardiovascolari (come infarto, ictus) è significativamente più alto rispetto alla popolazione senza diabete. Ad esempio, un’analisi ha stimato che il rischio di problemi cardiaci sia fino a 6 volte maggiore negli uomini e 11 volte nelle donne con diabete tipo 1. In uno studio svedese recente, anche in tempi moderni, le persone con diabete 1 presentavano da 3 a 5 volte più infarti e ictus rispetto ai controlli della stessa età. Dati come questi spiegano perché le malattie cardiovascolari siano la prima causa di morte nei diabetici tipo 1.

D: Per quale motivo la glicemia alta fa male al cuore e alle arterie?
R: L’iperglicemia cronica danneggia l’organismo a vari livelli. Il glucosio in eccesso colpisce direttamente le pareti dei vasi sanguigni, provocando infiammazione e irrigidimento delle arterie. Col tempo questo facilita la formazione di placche aterosclerotiche che possono ostruire i vasi (causando infarti o ictus). Inoltre, il diabete favorisce altri fattori di rischio: ad esempio, può causare ipertensione e alterazioni dei lipidi nel sangue; danneggia i reni, e i problemi renali a loro volta aumentano il rischio cardiovascolare. Non ultimo, la glicemia molto alta interferisce con diversi processi cellulari (stress ossidativo, produzione di molecole tossiche chiamate AGE, attivazione anomala di proteine) che complessivamente accelerano l’invecchiamento e il deterioramento di cuore e arterie. In sintesi, una glicemia elevata agisce un po’ come un “veleno” lento per il sistema cardiovascolare, riducendo la salute dei vasi anno dopo anno.

D: Se il diabete di tipo 1 mi è stato diagnosticato da adulto, il rischio cardiaco è inferiore rispetto a chi ha il diabete dall’infanzia?
R: In passato si pensava che un diabete 1 con esordio più tardivo potesse avere effetti meno gravi, ma purtroppo non è così semplice. Anche chi sviluppa il diabete tipo 1 in età adulta mantiene un rischio cardiovascolare elevato, paragonabile a chi ha il diabete da quando era bambino. Uno studio recente non ha trovato differenze sostanziali di rischio tra chi era stato diagnosticato dopo i 30-40 anni e chi invece da giovane. Certamente, l’età di esordio conta in termini di anni di esposizione: un diabete attivo da 30 anni può aver causato più danni di uno presente da 5 anni. Tuttavia, quello che davvero importa è come il diabete viene gestito. Una persona che scopre il diabete a 40 anni e lo tiene ben controllato può paradossalmente star meglio (sul piano cardiovascolare) di chi ha il diabete dall’adolescenza ma con anni di scompenso. In breve: non bisogna abbassare la guardia solo perché il diabete è comparso più tardi; serve comunque un’attenzione scrupolosa fin dall’inizio per proteggere il cuore.

D: Cosa posso fare, in concreto, per proteggere il cuore se ho il diabete di tipo 1?
R: Puoi fare moltissimo. Anzitutto tenere sotto controllo la glicemia il meglio possibile, con l’aiuto del tuo diabetologo: questo è il fattore chiave che nel lungo termine riduce il rischio di complicanze. Gli studi dimostrano che con un buon controllo glicemico il rischio di infarto si abbassa in modo significativo. In secondo luogo, adotta uno stile di vita sano: segui una dieta equilibrata (povera di sale, grassi saturi e zuccheri aggiunti), mantieni un peso sano e fai attività fisica regolare (almeno 150 minuti a settimana). Evita assolutamente il fumo di sigaretta, perché il fumo potenzia i danni del diabete sul sistema cardiovascolare. Tieni d’occhio la pressione arteriosa e il colesterolo con l’aiuto del medico: se la pressione tende a salire o il colesterolo LDL è alto, potrebbe essere utile iniziare terapie apposite (antipertensivi, statine) secondo le indicazioni del tuo curante. Inoltre, partecipa attivamente ai programmi di screening (esami del sangue periodici, controlli cardiologici se consigliati). Gestendo bene tutti questi aspetti, il tuo rischio cardiovascolare può avvicinarsi molto a quello di una persona senza diabete, permettendoti di vivere a lungo e in salute nonostante la malattia.

D: Il rischio cardiovascolare scompare adottando queste misure o resta comunque?
R: Il rischio non si azzera mai del tutto, perché alcuni fattori (come la predisposizione genetica o gli anni di diabete già trascorsi prima di un buon controllo) non sono modificabili. Tuttavia, numerose evidenze cliniche mostrano che il rischio si può ridurre drasticamente. Ad esempio, in pazienti con diabete tipo 1 senza complicanze e con ottimo controllo dei fattori di rischio, la mortalità cardiovascolare è risultata simile a quella dei non diabetici. Ciò significa che sì, è possibile avvicinarsi a un rischio normale. In pratica, più misure di prevenzione applichi (glicemia ottimale, niente fumo, dieta, sport, pressione e colesterolo normali, terapie adeguate) e più il tuo rischio aggiuntivo si riduce. Al contrario, se il diabete rimane mal controllato e si sommano altri fattori negativi, il rischio cardiovascolare rimane elevato. L’obiettivo di medici e pazienti è proprio minimizzare quel surplus di rischio, e oggi abbiamo gli strumenti per riuscirci nella maggior parte dei casi. In sintesi: con cure e stili di vita appropriati, una persona con diabete tipo 1 può non solo sopravvivere, ma vivere bene e a lungo, con un rischio di infarto e ictus molto vicino a quello di chi non ha il diabete.

Fonti: Studi clinici e pubblicazioni recenti su riviste mediche (The Lancet, European Heart Journal, Diabetes Therapy) e dati di enti sanitari autorevoli sono stati utilizzati per raccogliere le informazioni presentate. Queste fonti confermano il legame tra diabete di tipo 1 e rischio cardiovascolare, spiegandone i meccanismi e sottolineando l’importanza di prevenzione e gestione attiva. Le raccomandazioni fornite sono in linea con le linee guida di diabetologia e cardiologia attuali.

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