Sebbene non ancora approvati ufficialmente per il T1D, i farmaci GLP-1 RA e SGLT2i si rivelano strumenti utili per migliorare il controllo glicemico e ridurre il peso nei pazienti con somministrazione automatizzata di insulina.
C’è un vento nuovo che soffia nella gestione del diabete di tipo 1. Non si tratta di rivoluzioni dichiarate, ma di piccole rivolte silenziose: approcci off-label, valutazioni rischi-benefici, strategie su misura. A guidare questa corrente innovativa ci sono due classi di farmaci protagoniste dell’arena del diabete tipo 2: gli agonisti del recettore del peptide-1 simile al glucagone (GLP-1 RA) e gli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2i).
Sebbene non ancora approvati dalla FDA per l’utilizzo nel diabete di tipo 1, sempre più medici stanno sperimentando il loro impiego in combinazione con i sistemi di somministrazione automatizzata di insulina (AID). Il motivo? È tanto semplice quanto clinicamente rilevante: i sistemi automatizzati non sono ancora perfetti nel gestire la glicemia postprandiale, e con il crescente problema del sovrappeso nei pazienti con T1D, la quantità di insulina richiesta diventa spesso eccessiva, causando complicazioni e difficoltà nella gestione della terapia.
“Solo la metà circa degli utenti di AID raggiunge un valore di HbA1c inferiore al 7%. Serve qualcosa di più”, spiega il Dott. Viral N. Shah, professore di Endocrinologia e Metabolismo e direttore della Ricerca Clinica sul Diabete presso l’Indiana University Center.
Durante la sessione “Chiedi all’esperto” in programma domenica 22 giugno al McCormick Place di Chicago, il Dott. Shah, insieme al collega Dott. Anders L. Carlson, discuterà le potenzialità di questi farmaci come coadiuvanti dell’AID, tra nuove prospettive terapeutiche e rischi da non sottovalutare.
Un farmaco, più risultati
Secondo il Dott. Shah, l’uso di GLP-1 RA e SGLT2i in pazienti con diabete tipo 1 in sovrappeso o obesi può portare numerosi vantaggi: riduzione del peso corporeo, minore fabbisogno insulinico e miglioramento della sensibilità insulinica, contribuendo a ottimizzare il funzionamento dei sistemi AID e a ridurre il rischio cardiovascolare.
Nonostante la mancanza di approvazione regolatoria, circa il 30% dei pazienti con T1D starebbe già utilizzando GLP-1 RA. E per quanto riguarda gli SGLT2i? La storia è più complessa: se da un lato sono efficaci nel migliorare il controllo glicemico, dall’altro aumentano il rischio di chetoacidosi diabetica (DKA), complicanza che ne ha limitato l’uso nella popolazione T1D.
“Serve il monitoraggio continuo dei chetoni prima che la FDA possa considerare una nuova approvazione”, sottolinea Shah.
Il futuro tra sperimentazioni e cautela
Attualmente sono in corso almeno due studi clinici per valutare l’efficacia dei GLP-1 RA nel diabete di tipo 1, i cui risultati potrebbero aprire la strada a un cambiamento normativo. Nel frattempo, la realtà è fatta di impieghi off-label, da gestire con estrema attenzione.
I medici che scelgono questa via devono considerare possibili effetti collaterali, in particolare gastrointestinali (nausea, vomito, disidratazione), e monitorare frequentemente i livelli di chetoni, soprattutto in caso di vomito persistente, che può facilitare l’insorgenza di DKA.
La perdita di peso ottenuta con GLP-1 RA è significativa: in alcuni casi, i pazienti hanno ridotto il fabbisogno insulinico anche del 50%. Ma il successo di questi approcci richiede adattamenti continui delle impostazioni della pompa e una guida esperta nella terapia.
“Dobbiamo essere cauti. Questi strumenti possono fare molto, ma vanno usati con intelligenza e rispetto per la complessità della malattia”, conclude il Dott. Shah.
Conclusione: la cura che evolve
Il diabete di tipo 1 è una sfida quotidiana, fatta di numeri, sensori, allarmi e speranze. L’integrazione di farmaci non convenzionali nei sistemi AID non rappresenta una scorciatoia, ma una via alternativa per aumentare la qualità della vita di chi convive con questa condizione.
Tra prudenza clinica e innovazione terapeutica, il futuro potrebbe riservare nuove possibilità per personalizzare la cura e alleggerire il carico invisibile che spesso accompagna chi affronta il T1D. Ma come sempre, serve scienza, sperimentazione e un tocco di umanità.
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