Un simposio dell’ADA 2025 svela nuove evidenze sui mimetismi molecolari tra batteri intestinali e antigeni pancreatici, gettando luce sui meccanismi autoimmuni che scatenano il diabete di tipo 1.
Chicago, 21 giugno 2025 – Cosa succede quando i batteri nel nostro intestino parlano la stessa lingua delle cellule pancreatiche? A rispondere è uno dei simposi più attesi dell’American Diabetes Association (ADA) Scientific Sessions 2025, che oggi al McCormick Place di Chicago ha affrontato una delle domande fondamentali nella lotta al diabete di tipo 1: quali sono i bersagli antigenici che innescano l’autoimmunità?
La risposta, a quanto pare, si cela in un terreno familiare ma ancora pieno di misteri: il microbioma intestinale. Secondo il Prof. Emrah Altindis, biologo al Boston College e affiliato con Harvard Medical School e il Joslin Diabetes Center, alcuni batteri del nostro intestino potrebbero mimare strutturalmente gli antigeni pancreatici, innescando una risposta autoimmune tanto subdola quanto devastante.
“Sebbene conosciamo il diabete tipo 1 fin dall’antichità, ancora oggi non ne comprendiamo completamente le cause”, ha dichiarato Altindis. “Serve un’urgenza scientifica nuova per identificare i fattori scatenanti dell’autoimmunità.”
Il mimetismo microbico: un tradimento dall’interno
Al centro del dibattito scientifico vi è il peptide insB:9–23, un frammento della molecola dell’insulina bersaglio privilegiato dei linfociti T autoreattivi. In modelli murini predisposti (i topi NOD), l’introduzione di questo peptide scatena l’autoimmunità e l’insorgenza del diabete.
E qui entra in scena un vecchio “coinquilino” del nostro corpo: Parabacteroides distasonis, batterio commensale comune nell’intestino umano. Alcune sue proteine contengono sequenze simili al peptide insB:9–23, che possono trarre in inganno il sistema immunitario e scatenare una reazione contro le cellule ? del pancreas.
In uno studio di prova di concetto, i ricercatori hanno colonizzato topi NOD con questo batterio, osservando un raddoppio dell’incidenza del diabete rispetto ai controlli. Risultati che non possono essere ignorati.
Dallo studio DIABIMMUNE all’uomo: un ponte tra topi e bambini
Altindis e il suo team hanno esteso la loro ricerca al mondo umano, analizzando i dati dello studio DIABIMMUNE, un’indagine longitudinale condotta su bambini di Russia, Finlandia ed Estonia. I risultati? In presenza del peptide batterico simile a insB:9–23, il rischio di sviluppare autoanticorpi contro l’insulina aumentava in modo significativo.
“Abbiamo osservato che questa esposizione precoce ha effetti diretti sulla composizione delle cellule immunitarie nel pancreas”, ha spiegato Altindis. “È una scoperta che apre nuove strade per prevenzione e diagnosi precoce.”
Oltre Altindis: tre voci per completare il quadro
Il simposio ha visto anche il contributo di Maki Nakayama (Università del Colorado), che ha illustrato nuovi metodi per monitorare la reattività antigenica, e Brian T. Fife, che ha affrontato il tema del destino dei linfociti T CD4+ reattivi ad epitopi ibridi. A chiudere, Mia Smith ha analizzato il ruolo dei linfociti B autoreattivi, cellule che, oltre a produrre autoanticorpi, funzionano anche come “insegnanti” dell’immunità impazzita.
Un puzzle immunologico da ricomporre
Il diabete tipo 1 non nasce in un solo giorno, né da un singolo errore. È una malattia orchestrale, dove microbi, genetica e immunità suonano in dissonanza. Tuttavia, eventi come questo simposio dimostrano che la musica può cambiare.
Il futuro della prevenzione potrebbe passare non solo da un vaccino o da una terapia genica, ma anche da un probiotico mirato o da un intervento precoce sul microbioma.
In fondo, non siamo soli, e non lo siamo mai stati: nel nostro intestino abitano milioni di potenziali alleati o nemici invisibili, e capire da che parte stanno è la sfida del nostro tempo.
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