Una meta-analisi su oltre 800.000 persone rivela che le diete mediterranea, AHEI e DASH abbassano significativamente il rischio di diabete tipo 2, indipendentemente dalle origini culturali o geografiche
Mangiare sano non è solo un buon proposito, è un passaporto per un futuro più sano, e soprattutto più equo. È questo il messaggio forte e chiaro che emerge da un’imponente meta-analisi condotta dall’Università di Cambridge, presentata in occasione del Congresso Annuale dell’Associazione Europea per lo Studio del Diabete (EASD) tenutosi a Vienna.
Uno studio che non si accontenta delle mezze misure: 33 ricerche analizzate, oltre 800.000 partecipanti coinvolti, appartenenti a gruppi etnici diversi, da ogni angolo del mondo. Il risultato? Seguire uno stile alimentare salutare riduce sensibilmente il rischio di sviluppare diabete di tipo 2, a prescindere dall’origine etnica.
Le tre diete che fanno la differenza
La ricerca ha preso in esame tre modelli dietetici già noti alla scienza della nutrizione per i loro benefici:
- La dieta mediterranea, regina incontrastata delle tavole del Sud Europa, ricca di frutta, verdura, olio d’oliva, cereali integrali e pesce.
- L’Alternative Healthy Eating Index (AHEI), un indice sviluppato per misurare quanto un’alimentazione si avvicini alle linee guida per la salute.
- La dieta DASH, pensata per contrastare l’ipertensione ma efficace anche per ridurre il rischio di numerose patologie croniche.
I dati parlano chiaro: chi appartiene al 10% con la maggiore aderenza a questi modelli alimentari ha registrato una riduzione del rischio di diabete di tipo 2 pari al 17% con la dieta mediterranea, 21% con la AHEI e addirittura 23% con la DASH, rispetto a chi li seguiva meno fedelmente.
Un messaggio globale
Lo studio, guidato dalla dottoranda Jia Yi Lee, Gates Cambridge Scholar, insieme alla professoressa Nita Forouhi e colleghi del MRC Epidemiology Unit, lancia un messaggio chiaro: il cibo sano non ha passaporto. I benefici si sono dimostrati costanti tra africani, asiatici, europei e ispanici, senza variazioni significative, nonostante le differenze culturali e genetiche.
Certo, qualche variazione statistica è emersa in alcuni sottogruppi, specialmente tra ispanici e gruppi misti, ma potrebbe dipendere dalla scarsa rappresentanza di questi gruppi nei dati esaminati. Più di un terzo dei dati proveniva infatti da persone di origine europea, un limite che sottolinea la necessità di ricerche più inclusive.
Il valore dell’universalità
Se il cibo è cultura, salute e identità, la forza di questo studio sta nel dimostrare che è possibile tracciare una linea comune, trasversale, che unisce anziché separare. La scienza della nutrizione, in questo caso, offre un ponte tra popoli, abitudini e paesaggi. Il filo conduttore? Una dieta equilibrata, ricca di cibi vegetali, povera di zuccheri raffinati e grassi saturi, con una preferenza per ingredienti semplici, freschi e poco processati.
Sguardo al futuro
La ricerca presentata all’EASD non si ferma qui: è parte di un lavoro più ampio che guarda anche alle diete a base vegetale, vegetariane e vegane comprese. Il prossimo passo sarà capire se i benefici si confermano anche con questi modelli, e come adattarli alle diverse esigenze etniche e culturali.
Ma un dato è già chiaro: mangiare bene funziona, per tutti. E quando la scienza parla con questa chiarezza, sarebbe sciocco non ascoltarla.