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Accesso al cibo, cultura, scienza e personalizzazione: il simposio ADA 2025 apre nuovi orizzonti sull’alimentazione come terapia per il diabete, tra veganesimo, yogurt intero e “cibi amati”.

La rivoluzione nel piatto: nutrizione e diabete tra scienza, cultura e libertà

Cosa c’è nel piatto di chi vive con il diabete? Non solo carboidrati contati e zuccheri sorvegliati. Al McCormick Place Convention Center di Chicago, sabato 21 giugno 2025, prende vita un simposio che promette di rimescolare — letteralmente — le carte in tavola: “Consenso o controversia? Temi di attualità in nutrizione 2025”. Una sessione che accende i riflettori su ciò che, per molti, è ancora un tabù: la dieta può curare, ma solo se è accessibile, significativa e amata.

“L’accesso è tutto”: il punto di partenza secondo Maya Feller

A dirlo con convinzione è Maya Feller, dietista clinica, autrice, e voce autorevole nel campo della nutrizione culturale. Secondo Feller, ogni discussione sulla salute metabolica dovrebbe partire da una domanda molto concreta: le persone hanno accesso a cibo di qualità e rilevante per la loro cultura?

In un mondo dove il cibo ultra-processato e povero di nutrienti domina scaffali e tavole nelle periferie urbane e nelle comunità svantaggiate, parlare di dieta ideale è spesso un lusso teorico. La vera chiave, afferma Feller, sta nella sovranità alimentare: dare potere alle persone di scegliere, cucinare e condividere cibi che parlano alla loro storia, alla loro anima e alla loro memoria.

Nasce così il concetto dei “cibi amati”: non semplicemente salutari, ma anche evocativi, familiari, legati al piacere e alla convivialità. Perché — inutile nasconderlo — il cibo non è solo carburante, ma linguaggio emotivo, sociale, affettivo.

La dieta vegana secondo la scienza: parola alla Dott.ssa Kahleova

Dal cuore alla scienza. Il testimone passa alla Dott.ssa Hana Kahleova, direttrice della ricerca clinica presso il Physicians Committee for Responsible Medicine. Il suo intervento si concentra sulla dieta vegana a basso contenuto di grassi, dimostrandone l’efficacia su più fronti: perdita di peso, aumento della sensibilità insulinica, riduzione dei grassi nel fegato e nei muscoli.

Contrariamente a quanto temuto da molti medici, i dati raccolti mostrano che i pazienti sono disposti a cambiare. Il problema è l’informazione: “Non diciamo che nessuno seguirà una dieta vegana. Diciamo piuttosto: informiamoli, poi decidano loro,” sottolinea Kahleova.

Una chiamata alla responsabilità medica, dunque, non per imporre scelte ma per illuminare possibilità.

Yogurt intero: il ritorno del grasso buono

Nel campo dove il latte scremato era il sovrano indiscusso, entra in scena con eleganza lo yogurt intero (3,25% di grassi). A difenderne le virtù è la Dott.ssa Jana Kraft dell’Università del Vermont. I suoi studi mostrano risultati sorprendenti: migliori risposte insuliniche, riduzione della fruttosamina e dei trigliceridi a digiuno nei prediabetici che consumano yogurt intero rispetto a quello magro.

Una provocazione che sposta l’attenzione dalla demonizzazione dei grassi alla qualità della matrice alimentare. Forse, dopo anni di diete sgrassate e sapori diluiti, è giunto il momento di riconciliarsi con il piacere — moderato — del lattosio ben fatto.

Diabete tipo 1: il futuro è low-carb?

Infine, una domanda che divide la comunità scientifica: una dieta a basso contenuto di carboidrati dovrebbe essere il primo passo nella gestione del diabete di tipo 1?

A lanciare la sfida è la Dott.ssa Belinda S. Lennerz, endocrinologa del Boston Children’s Hospital e docente alla Harvard Medical School. Il dibattito è aperto e il pubblico del simposio si prepara a confrontarsi con dati, casi clinici e scenari terapeutici futuri.

Perché la scienza non è dogma, ma dialogo continuo, soprattutto quando si parla di alimentazione, dove la personalizzazione è l’unica vera regola.


Conclusione: tra il dovere della cura e il piacere del gusto

In un’epoca in cui il cibo è spesso ridotto a numeri, calorie e macro, il simposio ADA 2025 ricorda che la nutrizione è molto di più: è storia personale, è cultura, è dignità.

È l’arte delicata di creare un ponte tra le esigenze biologiche e i bisogni emotivi, tra la scienza e la tavola, tra l’individuo e la comunità.

Ed è in questo intreccio che si può finalmente parlare di cura vera, quella che si costruisce piatto dopo piatto, con consapevolezza, con rispetto, e — perché no — con amore.


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