© Roberto Lambertini© Roberto Lambertini

Uno studio italo-americano svela un meccanismo mai identificato prima che favorisce la fibrosi nelle complicanze del diabete. Bloccare l’asse IGFBP5/CD248 potrebbe aprire la strada a nuove terapie mirate.

Le fibre che legano, talvolta soffocano. La fibrosi è una risposta del corpo che, se sfugge al controllo, trasforma il tessuto in gabbia. Ma la ricerca non si ferma, e ora un nuovo studio svela una chiave nascosta nel cuore di questo intrico biologico: l’asse IGFBP5/CD248.

La fibrosi è una condizione comune ma sottovalutata nelle fasi avanzate del diabete di tipo 1 e 2. È una cicatrice che il corpo si infligge da solo, spesso come reazione a glicemie cronicamente elevate, lesioni lipotossiche e insulino-resistenza. Si accumulano proteine della matrice extracellulare (ECM) – come collagene e fibronectina – mentre le cellule epiteliali si trasformano in fibroblasti in un processo noto come transizione epitelio-mesenchimale (EMT). È così che il tessuto sano diventa rigido e disfunzionale.

Lo studio
Un gruppo di ricercatori tra Milano e Boston, guidato da Monica Zocchi, Francesca D’Addio e Paolo Fiorina, ha illuminato un nuovo meccanismo che potrebbe rivoluzionare il trattamento delle complicanze fibrotiche del diabete. Presentato durante una sessione scientifica di alto profilo, lo studio dimostra che la proteina IGFBP5 (Insulin-like Growth Factor Binding Protein 5) gioca un ruolo attivo e centrale nel promuovere la fibrosi.

Non solo: per la prima volta è stato individuato un suo potenziale recettore — CD248 — che media gli effetti profibrotici di IGFBP5, e che si dimostra a sua volta iperattivo nelle condizioni fibrotiche indotte dal TGF-?1, una ben nota citochina infiammatoria.

Metodologia e risultati
Attraverso modelli cellulari in vitro ed ex vivo, i ricercatori hanno osservato come IGFBP5, prodotta soprattutto dalle cellule epiteliali sotto stimolo di TGF-?1, aumenti esponenzialmente l’espressione di collagene e fibronectina, marcatori chiave della fibrosi. Quando IGFBP5 viene silenziata o bloccata, tale risposta fibrotica viene significativamente attenuata.

Il ruolo di CD248 è stato poi svelato come recettore di membrana responsabile della trasduzione del segnale profibrotico. Bloccando CD248, l’effetto fibrotico mediato da IGFBP5 viene annullato. In altre parole, interrompere questo dialogo tra IGFBP5 e CD248 rappresenta una promettente strategia terapeutica.

Implicazioni cliniche
Questo studio segna una svolta. Le terapie attuali contro la fibrosi sono spesso poco efficaci e mirano genericamente all’infiammazione o alla regolazione della glicemia. Il nuovo asse IGFBP5/CD248 offre invece un bersaglio preciso, che potrebbe essere modulato farmacologicamente per prevenire – o addirittura invertire – la fibrosi nelle complicanze del diabete.

La strada verso una cura definitiva è ancora lunga, ma ogni passo nella comprensione dei meccanismi molecolari è una conquista. E questa scoperta, maturata tra le aule dell’Università di Milano e i laboratori di Boston, rappresenta un mattone importante nel muro contro le complicanze croniche del diabete.

Conclusione
La fibrosi non è solo una cicatrice: è una prigione molecolare. Ma l’asse IGFBP5/CD248 ci offre una chiave per scardinarne le sbarre.

E chissà, forse un giorno potremo raccontare che la fibrosi – da nemico inesorabile – è diventata un bersaglio finalmente domabile.


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