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C’è un nemico silenzioso che infiamma il corpo, mina la salute delle articolazioni e spalanca la porta a malattie autoimmuni croniche: il fumo. Non quello che si vede uscire dalle ciminiere industriali o dai vulcani, ma quello sottile, che serpeggia tra le dita dei fumatori e invade i polmoni con ogni boccata. In occasione della Giornata Mondiale senza Tabacco, la Società Italiana di Reumatologia (SIR) invita a una riflessione profonda: quanto conosciamo davvero i danni del tabacco sulle nostre ossa e articolazioni?

Sebbene il legame tra sigarette e tumori o patologie cardiovascolari sia ben noto, c’è ancora poca consapevolezza sull’impatto devastante del fumo nelle malattie reumatologiche. “Il caso più emblematico è quello dell’artrite reumatoide,” afferma il professor Andrea Doria, presidente della SIR. “Tra il 15 e il 35% delle nuove diagnosi è direttamente associabile al consumo di tabacco. E questa percentuale sale fino al 50% nei soggetti geneticamente predisposti.”

La sigaretta, insomma, non si limita a inquinare i polmoni: penetra nel sistema immunitario e ne altera gli equilibri più delicati. Una delle sue azioni più subdole è la stimolazione della produzione di autoanticorpi: nel caso dell’artrite reumatoide, ad esempio, il fumo induce un’infiammazione cronica nelle vie respiratorie, favorendo la formazione di proteine citrullinate, che diventano bersaglio del sistema immunitario.

E non finisce qui. Il fumo aumenta il rischio di sviluppare il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) del 50%, soprattutto nei soggetti positivi agli anticorpi anti-DNA nativo. “Il fumo innesca processi ossidativi che alterano il DNA – spiega Doria – e inibisce la fagocitosi, ovvero la capacità dell’organismo di eliminare le cellule danneggiate e gli autoanticorpi. Una miscela tossica che favorisce l’autoimmunità.”

Anche il fumo passivo è tutt’altro che innocuo. Bambini esposti in casa al fumo di altri sviluppano più frequentemente malattie reumatologiche in età adulta. E chi decide di smettere? Deve armarsi di pazienza: il rischio di lupus si riduce solo dopo 5 anni, quello di artrite reumatoide addirittura dopo 30. “Questo ritardo – continua Doria – rende ancora più urgente la prevenzione primaria.”

Ma la battaglia non si vince da soli. Serve un’alleanza tra medici, pazienti e istituzioni. E proprio qui si scopre un tallone d’Achille del sistema sanitario: solo il 65% dei reumatologi fornisce consigli specifici per smettere di fumare. “Un dato preoccupante – sottolinea il presidente della SIR – perché, come specialisti, abbiamo una responsabilità etica e clinica nel combattere il tabagismo.”

Secondo una ricerca pubblicata su Rheumatology (Oxford), la maggioranza dei pazienti con malattie reumatologiche riceve scarsa informazione sul ruolo del fumo nella progressione della propria condizione. Eppure, i benefici dello smoking cessation counseling sono evidenti: chi smette di fumare rallenta la progressione della malattia, risponde meglio alle terapie e riduce il rischio di comorbidità.

Il fumo, quindi, è molto più di un vizio: è un moltiplicatore di dolore, una miccia accesa nell’organismo che può far esplodere patologie già complesse. Ma paradossalmente, ancora oggi, non è considerato un bersaglio clinico prioritario nella pratica reumatologica.

Eppure, basterebbe poco. La SIR propone di introdurre protocolli anti-tabagismo nei centri reumatologici, con la stessa serietà con cui si gestiscono le terapie farmacologiche. L’obiettivo è duplice: aiutare i fumatori a smettere e impedire che i non fumatori inizino. Una rivoluzione culturale e terapeutica, che metta al centro la prevenzione.

In fondo, smettere di fumare è un gesto di amore. Verso se stessi, verso le proprie articolazioni, verso quel corpo che, giorno dopo giorno, ci regge e ci sostiene, spesso in silenzio. Come diceva Ippocrate, “È molto più importante sapere che tipo di persona ha una malattia, che sapere che tipo di malattia ha una persona.” Oggi, sappiamo che chi fuma porta con sé una scintilla che può accendere l’infiammazione. Sta a noi spegnerla. Prima che sia troppo tardi.


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