Una ricerca rivoluzionaria dimostra che spegnere l’attività di specifici neuroni nell’ipotalamo normalizza la glicemia nei topi diabetici. Il cervello si candida così a protagonista inatteso nella lotta contro il diabete di tipo 2.
Chi l’avrebbe mai detto che il cervello, già padrone di emozioni, pensieri e sogni, potesse anche essere una centrale nascosta nel diabete di tipo 2?
Eppure, così pare. Una ricerca pubblicata sul prestigioso Journal of Clinical Investigation riscrive una pagina fondamentale nella storia della comprensione di questa malattia cronica, indicando nel cervello – più precisamente in una minuscola enclave dell’ipotalamo – un potenziale alleato (o complice?) della glicemia fuori controllo.
Al centro di questa rivoluzione scientifica, i neuroni AgRP, noti fino a ieri soprattutto per la loro influenza sull’appetito e sull’obesità. Ma il team dell’endocrinologo Dr. Michael Schwartz dell’UW Medicine ha svelato un retroscena sorprendente: l’iperattività di questi neuroni è direttamente responsabile dell’iperglicemia nei topi diabetici.
Il metodo? Una tecnica di genetica virale che ha indotto questi neuroni a esprimere la tossina tetanica, bloccandone così la comunicazione con il resto del cervello. Il risultato? Un crollo dei livelli di zucchero nel sangue, durato per mesi. E senza intaccare né il peso corporeo né l’appetito degli animali.
Un colpo di scena che ha sorpreso persino gli scienziati.
“La comunità scientifica ha sempre guardato al diabete di tipo 2 come a un problema di obesità, insulino-resistenza e cattive abitudini. Nessuno aveva osato puntare il dito sul cervello”, sottolinea Schwartz. E invece, oggi, siamo di fronte a un cambio di paradigma che potrebbe ridefinire diagnosi e cure future.
Non è la prima volta che il gruppo di ricerca insinua il sospetto. Già in passato, iniettando direttamente nel cervello un peptide chiamato FGF1, avevano osservato una remissione del diabete nei topi. Anche in quel caso, il segreto stava nell’inibizione dei famigerati neuroni AgRP.
Ma c’è un però. Spegnere questi neuroni sembra non avere effetti sull’obesità. Segno che il loro ruolo nel controllo del peso corporeo e della glicemia viaggia su binari separati.
Le domande, a questo punto, si moltiplicano: perché questi neuroni diventano iperattivi nei soggetti diabetici? Come si potrebbero “calmare” senza intaccare altre funzioni cerebrali? E, soprattutto, quanto di tutto ciò è traducibile nell’uomo?
Una luce arriva dagli stessi farmaci oggi usati nel diabete di tipo 2, come Ozempic, che – guarda caso – sembrano avere un effetto inibitorio proprio su questi neuroni. Ma resta ancora da capire quanto questa azione contribuisca al loro effetto antidiabetico.
La ricerca, dunque, è appena all’inizio. E il cervello, quel grande sconosciuto, si candida a diventare protagonista inatteso anche nella sfida contro il diabete di tipo 2.
Forse, come ci insegna questa storia, la medicina deve imparare a guardare laddove nessuno aveva mai guardato prima: proprio dentro le nostre teste.
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