Nasce a Bologna nell’anno del centenario della scoperta dell’insulina l’associazione culturale “Istituto Europeo di Culture Diabetiche” tra i fondatori: il blog Il Mio Diabete – AGD Ricerca e AGD Bologna, lo scopo e obiettivo vede al centro lo sviluppo di iniziative e attività volte a creare una corretta gestione e comunicazione tra culture diverse nella cura e pratica quotidiana del diabete, ma anche a creare interazione e inclusione tra le diverse tradizioni esistenti che vanno a impattare sulla patologia, naturalmente al primo posto l’alimentazione e il benessere fisico. Cultura all’interno di un processo molto più ampio e vasto che coinvolge attività non solo motorie ma figurative, espressive e narrative all’interno di uno snodo equilibrato tra logica e spontaneità.

La domanda a cui cercare di dare una reazione proattiva è: cosa si intende per salute? L’Organizzazione Mondiale della Sanità la definiva come lo “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non soltanto assenza di malattia”. Questo principio assegna agli Stati e alle loro articolazioni compiti che vanno ben al di là della semplice gestione di un sistema sanitario. Essi dovrebbero farsi carico di individuare e cercare, di modificare tramite opportune alleanze quei fattori che influiscono negativamente sulla salute collettiva, promuovendo al contempo quelli favorevoli. Tale definizione ha certamente un carattere “utopistico” in quanto descrive una situazione di completa soddisfazione e felicità difficile da raggiungere, ma costituisce un punto di riferimento verso il quale orientare i propri sforzi. L’unica visione alternativa a questa impostazione viene dalla Banca mondiale, che in seguito alle prime crisi petrolifere (1973 e 1979) suggerisce un approccio più realistico e meno universalista, ma soprattutto meno garantista, in particolare per i Paesi in via di sviluppo; nel 1987 emana una linea direttiva in tema di politica sanitaria ,che suggerisce di introdurre presso le strutture sanitarie pubbliche una forma di partecipazione alla spesa da parte degli utenti, promuovere programmi assicurativi, favorire la privatizzazione dei servizi sanitari; decentralizzare il governo della sanità.

L’Italia e l’Europa si sono trasformati da Paese di emigranti a luogo di approdo per immigrati provenienti dai Paesi poveri del Pianeta. Queste persone giungono in Italia con tutto il peso della loro sofferenza e con un grande bisogno di aiuto. Gli immigrati quando arrivano e chiedono di essere curati sanno bene cosa chiedere alla medicina occidentale; questo perché il modello occidentale è esportato in tutto il mondo e di conseguenza si aspettano che i loro bisogni vengano soddisfatti con risposte diversificate che tengano conto anche della loro cultura di provenienza. Il loro arrivo ha modificato il tessuto sociale e la domanda di salute sviluppando una società multietnica e multiculturale.

Il ruolo dell’antropologia nell’approccio alla salute nell’interculturalità

La consapevolezza della “non naturalità” delle categorie di “salute” e “malattia” permette un processo di riflessione critica su alcuni paradigmi della biomedicina e l’importanza dell’attenzione alla dimensione socioculturale (e non solo organica) nel processo diagnostico e terapeutico.

L’antropologia medica si occupa dell’impatto del sistema medico sul corpo e la psiche individuali, del rapporto tra guaritore e malato, della dimensione sociale e antropologica della salute, della malattia e della cura e di come differenti culture abbiano elaborato differenti corpora di pratiche, credenze e conoscenze intorno ai problemi esistenziali collegati alle tematiche della salute, della malattia e della cura. Si occupa, in particolare, anche dei vari approcci al problema proposti dalle medicine non europee o comunque non attinenti alla biomedicina. L’interesse non è quindi rivolto solo all’analisi delle diversità attraverso cui, secondo i luoghi, si declina l’approccio al problema salute-malattia-cura-guarigione, ma anche allo studio dei processi sociali e delle rappresentazioni simboliche con cui tali problematiche sono incorporate nei sistemi cognitivi. Essa utilizza i metodi dell’antropologia e delle scienze sociali per affrontare le questioni della salute e della malattia, della guarigione e dei sistemi di cura.

Più collegamenti per far crescere consapevolezza e trascrizione nella pratica quotidiana

Conoscere e conoscersi: il diabete necessità di conoscenza e preparazione costante per “arrangiarsi” e viverlo al meglio nel quotidiano, e chi ha il diabete tipo 1, o comunque è in terapia intensiva con insulina, lo sa bene, come lo sanno le diabetiche che debbo gestire una gravidanza. Ecco perché occorre sviluppare una chiamata all’azione e una coerente attività di coltura di tali azioni.  occorre cercare di capire insieme il “punto di partenza” sia degli indigeni con esordio della malattia che dei migranti quando approdano nel nostro Paese: sapendo cosa si lasciano alle spalle, infatti, potremo comprendere meglio come approcciarsi con loro, assisterli e curarli. Contemporaneamente occorre capire – per i non cattolici – la loro religione e come questa possa influenzare i loro atteggiamenti, giudizi e a volte pregiudizi. La molteplicità dei pensieri relativi al concetto di malattia nelle diverse culture risulta indubbiamente un elemento determinante per vivere l’esperienza di malattia stessa e, di conseguenza, per chi cura e assiste, sostiene, la modalità e l’approccio nella presa in carico.

Ecco per sommi capi la missione dell’Istituto Europeo di Culture Diabetiche: un punto di partenza per un buon arrivo. Per senza cultura non c’è coltura e raccolto e neanche un buon diabete e salute.