Sto lì fisso con le mie radici sepolte dal tempo.
Con un fruscìo respingo le spinte del vento chiudendomi nel silenzio inumidito di nebbia.
Proietto la mia chioma solitaria nel cielo, bloccato dal freddo, e libero le foglie, in attesa di un arrivo.
Conto il tempo segnando cerchi nel tronco, contorto dalla paura di un destino troppo a lungo solitario; un destino fissato in un filare isolato e cambiato un giorno dall’abbraccio di un bambino.
Segno con il cambio delle foglie le stagioni trascorse in attesa del suo ritorno e scavo il desiderio nello spessore dei miei nodi induriti dal tempo dell’attesa.
Attesa interrotta un’estate dal ritorno del bambino ormai adulto che, con un abbraccio, profuma il ricordo della sua fanciullezza, lasciata quel giorno in questo luogo, adombrato da una verde chioma.
Un abbraccio, unione di due destini diversi: il destino dell’uomo che rompe radici per rincorrere le brevi stagioni della vita e il destino dell’albero che invece le affonda per resistere al perenne susseguirsi delle stesse.
Un abbraccio slegato nuovamente dal futuro e che tiene l’albero ancora lì fisso, con il vento a sfaldare la corteccia depositatasi sul ricordo, per aspettare quel bambino che ritornerà un inverno ormai vecchio, e così ricordargli le stagioni, per loro passate.
E queste radici mi legano a te come domani di un tempo non temprato ancora per arrivare a Panama verso un tropico ma troppo esagerato, in queste terre assolate mai tanto desiderate come ora. Figlio che figlio ti sussegui indomito e sempre acceso di una speranza: che una cura prima algida poi accesa si appalesi all’orizzonte di un corpo prima giovane, quindi maturo e ancora vecchio.
Sempre bello il rumore dei piedi sui sassi nel silenzio adagiato e riposato del campo santo. Tutto uguale come da bambino quando la nonna mi mandava a riempire l’annaffiatoio. Le stesse sensazioni di pace, vagheggianti come il sorriso di tutte queste anime che ti stanno ad osservare. Anche qui c’è vita.
Allora resto, aspetto tra cieli e arcobaleni, algoritmi alieni e allenamenti di andirivieni che arrivi tu cura a livellare queste montagne russe nel luna park del diabete, tra gente in partenza o in arrivo. Mi piace correre in questo inferno mentre il paradiso attende che io leva le tende.
Non lo posso negare: a te diabetico tipo 1 ora e in avvenire lascio il testimone del sol dell’avvenire, tra tagli e ritagli, compresse e cellule vaganti e vacanti, con una mano di dietro e una d’avanti posso dirti in assoluta certezza che raccoglierai il frutto e il sapore della cura, e di una vita migliore.