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Ci sono momenti nella vita di ognuno di noi in cui o tutto è molto chiaro o tutto è molto confuso.

Solitamente questi momenti si presentano quando una persona deve fare una scelta e ovviamente spera con tutto se stesso che quella che andrà a fare si rivelerà essere  la scelta migliore.

Per me la vita è sempre stata una scelta.

Da piccina, quando mia mamma mi chiedeva se preferivo la maglietta viola a quella rossa, titubavo sempre un attimo e in quell’attimo pensavo e pensavo. Io preferivo la maglietta viola, ma avevo sentito la mamma dire che “quella rossa è bellissima, a me il viola non piace, però scegli tu” e avevo visto il suo viso illuminarsi quando avevo messo addosso la maglietta rossa: se alla mamma si illumina il viso vuol dire che è certamente meglio quella rossa di quella viola, senza ombra di dubbio.
E così sceglievo la maglietta rossa, così sceglievo di rinunciare a quella viola che non aveva illuminato il viso della mamma ma che a me piaceva tanto: in un certo senso, sceglievo semplicemente di non farmela piacere.
Quel tipo di scelte però erano ancora nulla.

Solo oggi mi rendo conto che iniziai a scegliere davvero all’età di dieci anni: non avevo scelto io di avere il Diabete, ma sicuramente sceglievo io di di curarmi.

Avrei potuto scegliere di non fare la glicemia e la puntura prima di ogni pasto principale, avrei potuto scegliere di non farmi la puntura prima di andare a dormire, avrei potuto scegliere di mangiare pizza-patate-dolci in quantità industriali, avrei potuto scegliere di fregarmene e di vivere una vita che fino a prima dei miei dieci anni era sempre stata mia.
Certo sarei probabilmente finita in coma dopo poco e dopo altrettanto poco sarei morta, ma certamente in tutti questi anni avrei potuto scegliere di fregarmene e di far finta che non  fossi io quella bambina che per sopravvivere doveva bucarsi la pelle.

Ma nel bene e nel male, prima ancora di scegliere di vivere una vita “normale”, prima ancora di scegliere di vivere una vita che era stata mia fino a qualche attimo prima e che qualche attimo dopo mi era stata rubata da una malattia di nome Diabete, io ho sempre scelto me : e dopo i miei dieci anni, inutile girarci intorno, quel me aveva il Diabete.
Potevo farmene una colpa? Potevo incolpare qualcun altro? Potevo continuare a lamentarmi, a chiedermi “perché a me” ? Certo, avrei potuto farlo e ogni tanto l’ho pure fatto, ma la realtà dei fatti sarebbe comunque rimasta quella.

Il mio corpo, quell’involucro che per un certo periodo di tempo ho creduto non essere mio – perché diciamocelo: come fa ad essere tuo un corpo che non fa quello che la tua testa pensa? Come fa ad essere tuo un corpo che non asseconda i tuoi desideri? Un corpo che in un certo senso è morto, inutile? – quella me, dicevo, a dieci anni si era ammalata di Diabete.

Ma oltre a un pancreas non funzionante e troppo zucchero nel sangue, di quella me facevano parte anche i sogni, le passioni, la marea di pensieri di una bambina che diventa adolescente e di un adolescente che ora sta diventando adulta.
Di quella me facevano e ancora fanno parte le ansie, i muri che da sola costruisco e quasi mai riesco a sgretolare, le paure più recondite, le insicurezze più stupide, le delusioni, i pianti, le incazzature, i dolori, i dispiaceri, ma anche le risate, quelle così intense da spezzarti in due lo stomaco dai crampi, i sorrisi con bocca, occhi e cuore, la voglia di aiutare il prossimo, la voglia di seguire quell’animale selvatico che è il mio cuore, l’essere un pò distratta e sempre un pò in ritardo rispetto al mondo, lo spirito d’avventura, la curiosità nello scoprire tutte le sfumature e i dettagli che la vita ogni giorno ci offre, la curiosità anche nel giocare con il proprio corpo e con la propria malattia, la voglia di condurre una strada dritta ma condita ogni tanto da qualche curva: quella me credeva e crede nel gusto dell’essere un pò ribelli, nell’essere funamboli capaci di oscillare su quel filo vibrante che è la vita per cercare di trovare un equilibrio nel disequilibrio, nell’essere sognatori che viaggiano sempre ” in direzione ostinata e contraria” come direbbe De Andrè, nell’essere quella rosa nata tra l’asfalto il cui rosso vermiglio continua a brillare sul grigio del cemento.

E’ il coraggio della tenerezza e la tenerezza del coraggio, ciò che mi piega sempre un pò la punta del cuore.

Ma è sicuramente il coraggio di una scelta ciò che più di tutti mi emoziona.
L’atto della scelta porta sempre con sé infatti anche lo spettro della rinuncia, che spesso oltre ad essere difficile è anche dolorosa: ed è questo, la forza che ci vuole per prendere una decisione, il coraggio che sta dietro a un’ inevitabile e consapevole rinuncia, ciò che tinge d’intensa e magica bellezza il coraggio di scegliere.

Ed è questo ciò che ho fatto dai miei dieci anni in poi, questo ciò che tutt’ ora continuo a fare:

ogni mattina mi alzo e ogni mattina, con coraggio, scelgo la Vita.