Da febbraio al policlinico ricoverati 5 bambini con la rara malattia dei vasi. L’ultimo è stato dimesso ieri dopo un mese.
Sindrome di Kawasaki e Covid-19. Anche il Sant’Orsola partecipa allo studio del professor Angelo Ravelli del Gaslini di Genova per capire se la malattia rara che colpisce i vasi sanguigni dei più piccoli è in qualche modo legata al coronavirus. In questi ultimi due mesi, cioè da quando è esplosa la pandemia, al policlinico sono stati ricoverati cinque bimbi a cui è stata diagnosticata la malattia di Kawasaki: l’ultimo, di 3 anni, è stato dimesso ieri dopo un mese in ospedale. Tamponi negativi al coronavirus, ma similitudini tra i sintomi: saranno i test sierologici, di cui si attendono i risultati, a dire se i piccoli pazienti hanno avuto o no il coronavirus.
I piccoli colpiti
A seguire i piccoli pazienti da vicino è stata la dottoressa Marianna Fabi, dirigente della Pediatria d’urgenza e pronto soccorso pediatrico, referente dell’ambulatorio cardiologico della malattia di Kawasaki. «Due cose si possono dire con certezza — spiega Fabi — cioè che la sindrome di Kawasaki, che è una vasculite che colpisce soprattutto i vasi di piccolo carico, come quelli del cuore, e il Covid-19 hanno delle similitudini e, altra cosa, che è stato osservato in questo periodo un aumento di casi di Kawasaki, da qui l’ipotesi di una correlazione con questo virus pandemico che deve però essere supportata scientificamente, facendo un’analisi su grandi numeri. Ma va anche detto che, anche in altri periodi, quando si manifesta, la Kawasaki si manifesta a piccoli grappoli di casi vicini, l’anno scorso in due mesi, tra maggio e luglio, ce ne sono stati 4». In media in Emilia-Romagna i casi sono 15 ogni 100.000 bambini sotto i 5 anni di età: «Cinque casi in un periodo non sono pochi, ma, come detto, in genere le diagnosi si fanno a gruppetti. Al Sant’Orsola abbiamo in media 7-10 casi l’anno». E bisogna partire, secondo Fabi, anche da un altro presupposto: «La sindrome di Kawasaki — spiega — non ha una causa precisa, ma in bambini predisposti geneticamente c’è un fattore ambientale scatenante, probabilmente infettivo e probabilmente virale». In questo caso, se lo studio avvalorasse l’ipotesi di alcuni medici, soprattutto di zone dove la pandemia ha colpito più duramente, il fattore ambientale scatenante potrebbe essere proprio il coronavirus.Il processo di guarigione
I cinque bambini ricoverati al Sant’Orsola sono tutti guariti e ora sono a casa. «La Kawasaki è diagnosticabile — spiega Fabi — e si cura con successo entro i primi dieci giorni di febbre». Perché la febbre alta e persistente che non passa con paracetamolo e antibiotico è uno dei sintomi. «Ma ci sono anche labbra secche e rosse, lingua rossa, congiuntivite senza secrezione, rush cutaneo di vari aspetti e forme, mani e piedi gonfi», spiega Fabi. Che però rassicura: «La Kawasaki non porta a un tracollo improvviso, c’è tutto il tempo di trattarla con trattamenti standard convalidati sui bambini e per chi l’ha avuta dico di stare tranquilli, perché al momento non c’è evidenza di recidive». Anche se i bambini che sono stati malati, poi devono essere seguiti dal punto di vista cardiologico, perché c’è stato un interessamento coronarico. «L’incidenza del Kawasaki non è comunque cresciuta — assicura Andrea Pession, direttore della Pediatria del Sant’Orsola — ma abbiamo visto più malattie autoimmuni come vasculiti e artriti anche se in bambini negativi al Covid-19, sono patologie emergenti al di là del virus». Più in generale Pession sottolinea il crollo di accessi al pronto soccorso pediatrico nell’ultimo mese. «Nell’ultima domenica se ne sono visti due — spiega — mentre in genere la media era di 60-70. Vediamo molti meno bimbi, ma sono più gravi. Ai genitori vorrei dire che se il figlio ha sintomi possono portarlo senza timori in ospedale perché abbiamo un percorso Covid-free».
Sorgente: Covid-19 e sindrome di Kawasaki. Il Sant’Orsola indaga sul legame