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Un contributo inserito in una recente pubblicazione sull’emergenza sanitaria Covid-19 della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione (CIIP) [1] riprende la vexata quaestio relativa alla gestione dei cosiddetti “ lavoratori fragili” da parte del medico competente, aggiungendosi a quanto già espresso in precedenza dalle società scientifiche e professionali del settore (SIML e ANMA).

Medico competente e lavoratori fragili: che fare?

Quali malattie indicano che un lavoratore è da “fragile” ai fini della valutazione del rischio Covid? Quali sono i riferimenti normativi? Cosa può fare il Medico Competente di fronte ai casi dubbi e alle richieste dei lavoratori? Di E. Ramistella.

Un contributo inserito in una recente pubblicazione sull’emergenza sanitaria Covid-19 della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione (CIIP) [1] riprende la vexata quaestio relativa alla gestione dei cosiddetti “ lavoratori fragili” da parte del medico competente, aggiungendosi a quanto già espresso in precedenza dalle società scientifiche e professionali del settore (SIML e ANMA).

In questo contributo analizzeremo:

Chi sono i lavoratori fragili?Come ormai ampiamente noto, la nuova – e inedita – definizione di “lavoratore fragile” discende da quanto indicato nel protocollo condiviso tra le parti sociali, aggiornato il 24 aprile scorso e inserito nel DPCM del successivo 26 aprile [2] e si ricollega al disposto del precedente DPCM dell’8/03/2020, che raccomandava “a tutte le persone anziane o affette da patologie croniche o con multimorbilità ovvero con  stati di immunodepressione congenita o  acquisita,  di  evitare  di  uscire dalla  propria  abitazione  o  dimora  fuori  dai  casi  di   stretta necessità e di evitare comunque luoghi affollati nei quali  non  sia possibile mantenere la distanza di sicurezza interpersonale” (art. 3 co 1 lett. b).Si può quindi ipotizzare che la “ fragilità” così individuata sia legata alla condizione individuale di maggiore facilità di essere contagiati dal nuovo coronavirus e, conseguentemente, risentire di una più elevata incidenza di complicanze gravi all’insorgenza della malattia conclamata. In realtà tale indicazione, sebbene data per scontata, non è stata mai esplicitata in documenti ufficiali: nella stessa circolare del Ministero della Salute del 29/04/2020 a tale proposito si afferma solamente che: “in merito a tali situazioni di fragilità, i dati epidemiologici rilevano una maggiore fragilità nelle fasce di età più elevate della popolazione (>55 anni di età), come riportato nel menzionato Documento Tecnico, nonché in presenza di co-morbilità che possono caratterizzare una maggiore rischiosità. In considerazione di ciò …  il medico competente … terrà conto della maggiore fragilità legata all’età nonché di eventuali patologie del lavoratore di cui è già a conoscenza …”Vale la pena di ricordare che, in seguito all’approvazione dell’art. 83 del D.L. n. 34 del 19/05/2020 (cd decreto Rilancio), vanno inclusi in questo ambito tutti i lavoratori di tutte le imprese nazionali, cioè anche i dipendenti attualmente non soggetti alla sorveglianza sanitaria “ordinaria” ex D.Lgs. 81/08, in considerazione del regime di “ sorveglianza sanitaria eccezionale” introdotta per la durata del periodo emergenziale con le modalità previste dallo stesso testo.Quali malattie indicano che un lavoratore è da considerarsi “fragile” ai fini della valutazione del rischio Covid-19?Premesso quanto sopra, una età superiore a 55 anni e la coesistenza di più malattie croniche sarebbero dunque sufficienti per incardinare la suddetta condizione di fragilità, considerazione importante da tenere presente perché in alcune circostanze ha dato origine a interpretazioni fuorvianti e talvolta anche strumentali.Comunque poiché – a parte lo stato di immunodepressione – le altre co-morbilità non risultano compiutamente determinate, SIML e ANMA (e la stessa CIIP) hanno proposto di considerare per la sussistenza della condizione di “fragilità” le seguenti malattie croniche, statisticamente associate ai casi mortali correlati alla malattia Covid-19 finora registrati:

  • Condizioni di immunodepressione e/o immunodeficienza congenita o acquisita e patologie che richiedono terapie immunosoppressive;
  • Patologie oncologiche (tumori maligni) attive negli ultimi 5 anni;
  • Patologie cardiache (ischemie e coronaropatie, ipertensione arteriosa grave scompensata, insufficienza cardiaca, gravi aritmie, portatori di dispositivi tipo pacemaker e defibrillatori);
  • Patologie broncopolmonari croniche (BPCO, asma grave, cuore polmonare cronico, enfisema, fibrosi, bronchiettasie, sarcoidosi, embolia polmonare);
  • Diabete mellito insulinodipendente (specie se scompensato);
  • Insufficienza renale cronica;
  • Insufficienza surrenale cronica;
  • Malattie degli organi emopoietici ed emoglobinopatie (aplasie midollari, gravi anemie);
  • Malattie infiammatorie croniche e sindromi da malassorbimento intestinale;
  • Reumoartropatie sistemiche (artrite reumatoide, LES, collagenopatie e connettiviti sistemiche croniche);
  • Epatopatia cronica grave (cirrosi epatica).

(da rammentare che anche la gravidanza è considerata da molti tra come una condizione di ipersuscettibilità al contagio).Quali sono i riferimenti normativi?Viene così delineato uno schema sanitario di riferimento, sia pure ancora abbastanza vago, nell’ambito del quale poter comunque tentare di inquadrare le singole situazioni di reale fragilità. Tuttavia, poiché l’elenco illustrato (sul quale, come già detto, esiste un consenso di massima tra le società scientifiche del settore) comprende molte malattie che possono presentarsi con differente gravità e stadiazione, può risultare complesso determinare con esattezza quali condizioni patologiche, singole o multiple, includere per caratterizzare un soggetto come fragile.A tale proposito, per la verità, esiste un peculiare riferimento legislativo, l’art. 26 della Legge 27 del 24/04/2020 (legge di conversione del cosiddetto decreto “ Cura Italia”) che istituisce una specifica tutela per una particolare categoria di dipendenti “fragili”, pubblici e privati, purché “in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché per i lavoratori in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico-legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, ai sensi dell’articolo 3, comma 1 della medesima legge n. 104 del 1992”. In tali evenienze il MMG, a fronte della corrispondente documentazione medico-legale del riconoscimento di disabilità ex Legge 104/92 da parte dei “competenti organi medico-legali” (cioè delle commissioni per l’accertamento dell’handicap ASL o INPS o dei servizi di Medicina Legale delle locali aziende sanitarie), può riconoscere un adeguato periodo di astensione dal lavoro che viene equiparato a ricovero ospedaliero (possibilità estesa fino al 31 luglio p.v. grazie all’ultima modifica del successivo art. 74 del cd decreto Rilancio). Il medico di famiglia è tenuto a specificare sul certificato di malattia gli estremi del riconoscimento dello status di cui alla legge 104/92 per consentire al lavoratore di assentarsi “precauzionalmente” dal lavoro, al limite anche per tutta la durata dell’attuale emergenza sanitaria. In definitiva, quindi, per i lavoratori già riconosciuti portatori di handicap in situazione di gravità ex comma 3 art. 3 della Legge 104/92 e per quelli con analoga attestazione ex comma 1 art. 3 a causa di immunodepressione, esiti di patologie oncologiche o svolgimento di terapie salvavita risulta chiaro come comportarsi e a chi compete la relativa salvaguardia (= medico di assistenza primaria), atto che in tali contingenze esula dagli adempimenti richiesti al medico competente che non è abilitato a emettere certificati di malattia per l’INPS.La paura dei lavoratori e le richieste di essere considerati lavoratori fragili in presenza di alcune patologieEsistono però casi di lavoratori che reputano di dover essere considerati “fragili”, alcuni dei quali noti al MC per la sorveglianza sanitaria svolta in passato, sebbene non risultino in possesso di attestazione ai sensi della Legge 104. Questi dipendenti, soprattutto nelle prime fasi dell’emergenza, sono stati in qualche occasione superficialmente indirizzati dal datore di lavoro o dallo stesso medico competente al rispettivo MMG, ingenerando un legittimo risentimento per tale prassi (talora neanche preventivamente concordata) e anche perché dall’INPS sono giunte indicazioni contrastanti sulla possibilità di salvaguardare tali soggetti con prolungati periodi di assenza dal lavoro per malattia, ritenuti infine ingiustificati poiché si tratta pur sempre di soggetti affetti sì da patologie croniche ma, comunque, non in fase di riacuzie. Nel contempo il medico competente è diventato il destinatario di numerose richieste di dichiarazione di fragilità da parte di lavoratori portatori di malattie croniche di lieve entità e ben compensate dal trattamento terapeutico, farmacologico o di altra natura, o perfino semplicemente in ragione dell’età avanzata (= superiore a 55 anni), istanze giuridicamente plausibili sul piano formale – rifacendosi alla vigente normativa – ma certo prive di senso dal punto di vista sanitario nella maggioranza delle circostanze riferite.E’ da tenere presente, inoltre, che in molte aziende – soprattutto in quelle pubbliche, nelle grandi imprese e nelle PMI del settore terziario – la messa in atto di attività in smart-working (o altre forme di “lavoro a distanza”) ha rappresentato una modalità organizzativa che ha permesso di continuare il lavoro senza pregiudizio per la salute dei dipendenti, anche nel caso di “fragilità”, vera o presunta. Più complessa appare la gestione di lavoratori fragili nel caso delle piccole e medie imprese del settore industriale e commerciale, dove è praticamente impossibile ricorrere allo smart-working (se non per poche figure amministrative) e in considerazione del fatto che alcuni ruoli possono risultare di fatto indispensabili e i rispettivi dipendenti insostituibili per la competenza e l’esperienza maturata.In questi casi, allora, cosa può fare il medico competente?Non è scontato affermare che questa valutazione, che riguarda il medico competente, deve essere condotta caso per caso esaminando le patologie attuali o pregresse in relazione a quanto disposto dalla normativa ed evidenziato dalle più recenti acquisizioni della letteratura scientifica, purtroppo non sempre tra loro in sintonia. Difatti, tanto per fare un banale esempio, alcuni articoli pubblicati su autorevoli riviste internazionali hanno messo in evidenza che non sembra confermato un maggior rischio di contrarre forme severe di Covid-19 in pazienti che assumono farmaci immunosoppressori [3], smentendo così uno dei parametri contemplati nei decreti più volte citati. Si impone perciò di verificare con attenzione la documentazione sanitaria a corredo delle segnalazioni provenienti dai lavoratori, escludendo quelle non pertinenti (o palesemente pretestuose); risulta infatti poco accettabile ipotizzare di annoverare nel contesto di tale supposta “fragilità”, ad esempio, lavoratori di età superiore a 55 anni in assenza di patologie acclarate o dipendenti portatori di infermità di lieve grado ben controllate (ad esempio soggetti cardiopatici/ipertesi o diabetici in buon compenso, rispettivamente, circolatorio e metabolico) o, ancora, lavoratori già affetti da malattie neoplastiche sistemiche o loco-regionali ormai superate e in assenza di segni clinico-strumentali di ripresa.Il medico competente dovrà concentrarsi e applicare invece una appropriata diligenza per dedicarsi alle situazioni meritevoli di approfondimento, quali ad esempio: patologie gravi e non compensate dalla terapia seguita, comorbilità per malattie croniche importanti, neoplasie in trattamento chemioterapico etc. Per l’esame di questi “attendibili” casi, la circolare del Ministero della Salute del 29 aprile 2020, già citata prima, precisa quanto segue: “… i lavoratori vanno comunque – attraverso adeguata informativa – sensibilizzati a rappresentare al medico competente l’eventuale sussistenza di patologie (a solo titolo esemplificativo, malattie cardiovascolari, respiratorie, metaboliche), attraverso la richiesta di visita medica di cui all’art. 41 c. 1 lett. c. (c.d. visita a richiesta del lavoratore), corredata da documentazione medica relativa alla patologia diagnosticata …”. Si può ritenere che tale disposizione, l’effettuazione cioè di una “visita su richiesta” nei casi più complessi di cui si è detto, rappresenti una ragionevole e condivisibile prassi per giungere a una corretta definizione delle evenienze in esame, sebbene ponga al tempo stesso altri interrogativi, in particolare sulle conclusioni da poter assegnare alla fine di un siffatto controllo sanitario. A tale proposito, infatti, è da rammentare che a compimento della visita menzionata il medico competente è tenuto a esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica [4] che, a rigore, non contempla anche il rischio da contagio da SARS-CoV-2, a meno che non si tratti di operatori di ambienti sanitari. Per tale motivo, in assenza di (auspicabili) indicazioni normative, i medici competenti hanno escogitato le soluzioni più fantasiose per sopperire aggiungendo “pareri”, “raccomandazioni”, “postille” e quant’altro al giudizio di idoneità. Probabilmente, piuttosto, la cosa più sensata appare quella di contemplare eventuali considerazioni attinenti quanto detto come “prescrizioni” atte alla definizione di questa singolare tipologia di “idoneità parziale dovuta all’epidemia Covid-19”, intese a scongiurare il rischio di contagio per questi soggetti ipersuscettibili e da mettere in atto da parte dell’azienda o Ente nei confronti del lavoratore [quali, a titolo meramente esemplificativo: “assicurare regime di lavoro agile”; “utilizzo obbligatorio di mascherina tipo FFP2”; “programmare sessioni di lavoro in solitario” etc. ].In altri termini, in prima istanza la soluzione va sempre ricercata sul luogo di lavoro. Questi dipendenti non possono essere immediatamente inviati al curante, che non sempre è a conoscenza della mansione specifica effettivamente svolta dal suo assistito né delle condizioni dell’ambiente in cui viene espletata, cognizioni di pertinenza esclusiva del medico competente. Tale opzione deve essere considerata solo quale ultima ratio dopo aver esperito ogni altra possibile alternativa interna all’azienda e in pieno accordo tra le due figure professionali sanitarie (MC e MMG), nella consapevolezza che prolungati periodi di assenza per malattia possono influire negativamente sul rapporto di lavoro. In ogni caso, anche qualora sia accertata la “inidoneità” alla mansione da svolgere per quanto riguarda la fattispecie della maggiore rischiosità per il contagio da SARS-CoV-2, è stata espressamente disposta l’impossibilità di procedere al licenziamento [5],  norma di garanzia per il lavoratore fragile ma che – è facile immaginare – potrà essere fonte di non poche difficoltà e contenziosi, soprattutto nelle PMI.Infine, sperando di non essere frainteso, occorre puntualizzare che il medico competente può solo “segnalare” e “raccomandare” ma che la decisione finale sulle misure di tutela per i singoli lavoratori fragili rimane pur sempre in capo al datore di lavoro, unico soggetto in grado di prendere decisioni riguardanti la sua impresa e l’impiego dei propri dipendenti, anche – e soprattutto – nell’attuale fase di emergenza sanitaria, che certo a oggi non può dirsi ancora conclusa.Ernesto RamistellaComponente direttivo nazionale SIML 


[1] “Covid-19 – i contributi di CIIP”: https://www.ciip-consulta.it/index.php?option=com_phocadownload&view=file&id=48:covid-19-contributi-di-ciip&Itemid=609

[2] Protocollo condiviso, punto 12 quinto capoverso: “Il medico competente segnala all’azienda situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti e l’azienda provvede alla loro tutela nel rispetto della privacy”

[3]https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMc2009567 – https://www.thelancet.com/journals/laneur/article/PIIS1474-4422(20)30147-2/fulltext

[4] c) visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica

[5] art. 83 comma 3 DL 34/2020

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