C’è un filo rosso, logoro e arrugginito che conferma e mantiene l’esistenza di differenze significative tra Regioni e Regioni, nei modelli organizzativi, negli indirizzi che regolano l’accesso a farmaci e dispositivi e, in particolare, alla innovazione, nelle pratiche prescrittive, nelle politiche di prevenzione. Differenze che sono all’origine di disparità e disuguaglianze nell’accesso alle cure, e che certamente non intaccano il quadro epidemiologico dal quale eravamo partiti e ci restituiscono l’immagine di un’Italia divisa in due, tra Nord e Sud del Paese, alla quale sembriamo non reagire.
Il Piano nazionale sulla malattia diabetica è ancora lì, a quasi dieci anni dalla sua approvazione. Le Regioni si sono impegnate ad attuarlo, anche se con le modalità organizzative che ritengono più adeguate, esercitando l’autonomia decisionale riconosciuta loro. Alcune di esse hanno fatto decisamente bene, e i dati lo documentano, altre continuano a far male. Il valore del Piano non risiede solo nelle indicazioni sul terreno della integrazione, della multidisciplinarietà nella presa in carico delle persone con diabete, della attenzione per la prevenzione, ma anche nella proposta di una impostazione comune su tutto il territorio nazionale, che dovrebbe contribuire ad assicurare maggiore omogeneità e garantire eguale diritto di accesso, qualità e sicurezza alle cure e all’assistenza alle persone con diabete. È il momento di rispolverare quel documento, riattualizzando e confermando con politiche concrete gli impegni assunti ormai quasi un decennio fa.
C’è poi l’occasione straordinaria rappresentata dalla riflessione sulla riorganizzazione dell’assistenza sul territorio, dopo l’esperienza con la pandemia da COVID-19. Il diabete, e le sue esigenze di presa in carico integrata e multidisciplinare rappresentano concretamente quella necessità, sottolineata da più parti, che accanto agli investimenti sulle strutture, Case ed
Ospedali di comunità, piuttosto che Centrali Operative Territoriali di coordinamento, si dedichino tempo, attenzione, competenze ed energie ai processi, senza i quali anche gli investimenti strutturali rischiano di lasciare il tempo che trovano. La gestione delle persone con diabete dovrebbe diventare un esempio concreto del lavoro di riorganizzazione dei modelli di assistenza sul territorio.
Ciò garantirebbe maggiore concretezza alla riflessione sui modelli organizzativi territoriali e, al tempo stesso, rappresenterebbe una opportunità per dare finalmente una accelerazione ai percorsi di integrazione che riguardano la gestione del diabete.
Occorre mettere in cantiere strategie ed azioni per la promozione della aderenza ai trattamenti. L’Atlante delle disuguaglianze sociali nell’uso dei farmaci dell’AIFA valuta poco soddisfacenti i livelli medi di aderenza e persistenza al trattamento farmacologico per il diabete, con un gradiente decrescente tra Nord e Sud del Paese e risultati migliori, ancora una volta, nelle aree meno deprivate. I dati e le informazioni disponibili, ormai sufficientemente esaustivi, non riescono a portare il tema in superficie, né a proporlo all’attenzione del dibattito sulle priorità per il SSN. La questione sembra, al momento, appannaggio pressoché esclusivo della cerchia ristretta degli addetti ai lavori. Va posta, invece, con determinazione, alla attenzione dei decisori ai diversi livelli.
Non si tratta di promuovere buone pratiche ed esperienze in singole realtà, che già esistono, ma di prendere contatto con la dimensione di governo del problema. In altre parole, è necessario che i decisori acquistino consapevolezza della rilevanza del tema e dell’impatto sul sistema della mancanza attuale di strategie. Non ha senso rendere accessibili le terapie, anche quelle più innovative, se poi non siamo in grado di promuovere una adeguata aderenza alle stesse.
È necessario riaprire la riflessione sull’accesso alla innovazione. Disponiamo ormai di metodi e prassi ampiamente collaudati per rispondere alle garanzie di accesso ai LEA in una cornice disostenibilità. Eppure non sempre riusciamo a garantire ai cittadini, di valutazioni di HTA, ma forse siamo di fronte ad una discussione che merita di essere riaperta, prendendosi la libertà di capire quali soluzioni si possano mettere in campo per garantire l’accesso alla innovazione in tempi più consoni e a platee più ampie, quando utile e necessario.
Anche semplificazione e sburocratizzazione delle procedure, che dovrebbero rappresentare un punto fisso nella agenda delle politiche per la gestione del diabete, così come delle cronicità in genere, richiedono una accelerazione significativa. Le persone con diabete intrattengono, per ovvie ragioni, una relazione intensa con i servizi sanitari. Semplificare e sburocratizzare le procedure, eliminando tutti i passaggi inutili e ridondanti, aumenterebbe non poco la qualità della loro vita. La digitalizzazione della PA, che sarà oggetto di investimenti attraverso le risorse del PNRR, dovrebbe rappresentare una preziosa opportunità anche a questo scopo.
Non possiamo più continuare a lasciare sulle spalle delle famiglie l’onere di gestire la presenza in sicurezza a scuola di un figlio con diabete. L’Indagine conferma che la situazione della scuola da questo punto di vista è molto difficile, ed è fonte di preoccupazione per i genitori, che spesso sono costretti a perdere giorni di lavoro e talvolta devono smettere di lavorare per fornire assistenza al bambino a scuola. Una richiesta che arriva da più parti, e che forse meriterebbe di essere valutata, riguarda la reintroduzione della figura dell’infermiere all’interno degli istituti scolastici, proprio allo scopo di gestire situazioni di questo genere, legate al diabete ma anche a tutte le disabilità.
Più in generale, è venuto probabilmente il momento di recuperare la centralità del diabete nell’ambito delle cronicità, a partire dal contesto epidemiologico e dalla sua evoluzione, ma non solo.
Esigenze di integrazione e multidisciplinarietà, ruolo evidente della prevenzione, valore della autogestione della malattia e della personalizzazione dei percorsi di cura ed assistenza, rapporto nel loro interesse esclusivo, l’innovazione messa a disposizione a ritmo sostenuto dalla ricerca scientifica e tecnologica. Nessuno vuole mettere in discussione l’attenzione per l’appropriatezza e per una scrupolosa verifica della qualità effettiva di ciò che viene proposto come innovativo e utile, per esempio attraverso il sistema evoluto con le tecnologie, ne fanno un vero e proprio paradigma, che può contribuire a mettere a fuoco strategie efficaci per contrastare disparità e disuguaglianze. E per superare quella inerzia che da troppo tempo sembra essere il tratto distintivo delle politiche sul diabete.
Dato lo stato fallimentare dei risultati fin qui ottenuti, che vede una inarrestabile e ingovernabile crescita a livello nazionale e globale del diabete in ogni sua forma e vista la completa inadeguatezza dell’attuale sistema di assistenza strutturato per regioni, e tagliato su misura non del cittadino e paziente ma di chi, nel bene e nel male, dirige e le strutture di riferimento, occorre rivoluzionare il modello organizzativo: come?
Trasferendo le competenze per la materia sanitaria in ambito diabetico, in modalità esclusiva alla sanità militare per due urgenti e solide ragioni: arginare i rischi per la salute pubblica derivati da una patologia che per i numeri riportati è prossima a far collassare l’intero sistema sanitario nazionale sotto il profilo della tenuta dei servizi che dei costi a consuntivo. Per uniformare i trattamenti su tutto il paese e rendere la prestazione pubblica univoca, superando le prestazioni libero professionali in intramoenia e extramoenia, per recuperare rapidamente le liste d’attesa e il controllo della situazione.