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Meglio la libertà o la prigionia? Risposta scontata ovvero la libertà e con il diabete ancor di più, perché essere liberi di spaziare e muoversi nello spazio concesso dalla nostra vita è di fondamentale importanza per un’esistenza sana ed equilibrata con la malattia, a cominciare dall’attività fisica per poi arrivare quella alimentare.

Ma ci sono dei momenti, a volte brevi altri lunghi, in cui la libertà può essere condizionale, limitata, ecco tra questi esiste un frangente molto delicato nella vita di un diabetico, nel quale diventa difficile coniugare una sintesi equilibrata dello stare bene con la patologia: si tratta del periodo di degenza, ricovero in ospedale, un percorso che non risparmio a definire deleterio per chi ha il diabete.

Il diabete per antonomasia è la condizione antiospedaliera per eccellenza e senza scomodare studi, ricerche e indagini propongo la mia personale esperienza da “adepto” della malattia da preistoria per ricordare come l’aver trascorso due anni e mezzo ricoverato in ospedale nei primi dieci anni di vita non aiutato a nulla in termini di miglioramento del controllo glicemico, gestione della terapia e delle varie parti della vita con la patologia, ma per di più ha prodotto un effetto negativo a lungo termine sullo stress, sulla mia crescita e visione del rapporto tra me e il diabete. La sostanza delle cose era molto semplice: allora il ricovero era una sorta di parcheggio pediatrico poiché la sanità pubblica al tempo che fu non aveva altra concezione al di là del ricovero ospedaliero.

Italiano: Ospedale di Ferrara.

Abbandonato il nefasto passato personale meglio tornare al presente e riflettere su come è oggi il rapporto di convivenza del diabetico con la degenza ospedaliera. Nonostante il periodo di ospedalizzazione sia stato ridotto all’osso resta comunque la negatività per il diabete al centro della nostra attenzione e non solo per l’impatto emotivo, di tenuta psicologica e l’effetto stressante nel suo insieme, ma per delle ragioni pratiche riconducendo alla vita pratica e di controllo della malattia.

Una volta internati in ospedale solitamente la somministrazione d’insulina viene fatta e gestita dagli infermieri del reparto su indicazione dei medici responsabili dello stesso, pertanto scordiamoci di farci noi le iniezioni a parte nei primissimi giorni: negli ultimi miei ricoveri tra il 2004 e 2007 capitò che nel reparto non avevano l’insulina Lantus, così il primo giorno la saltai e nei due giorni a seguire per la feci portare da casa per ovviare alla lacuna poi recuperata (all’epoca facevo la multiniettiva). Ancora non so cosa accadrà con il microinfusore durante una degenza ospedaliera, in ogni caso, sia che il ricovero è programmato o meno, avvisare al più presto il nostro medico diabetologo in modo tale che si raccordi con i sanitari del reparto per gestire al meglio la condizione. Il percorso si fa diverso nel caso di intervento chirurgico, laddove le terapie in corso comunque sono sospese e riviste in base alla fase pre e post intervento, sempre in raccordo con lo specialista diabetologo.

Un ultimo aspetto incidente negativamente nella vita del diabetico ospedalizzato riguarda l’alimentazione: con i pasti serviti in reparto scordiamoci la conta dei carboidrati e un apporto equilibrato nei valori nutrizionali, e il fatto è noto in generale da tempo. Se uno se lo può permettere meglio che si porti il mangiare da casa piuttosto.

Naturalmente l’augurio che faccio è di stare sempre bene e non fare ricoveri in ospedale, ma se le condizioni fisiche lo consentono appena potete chiedete almeno un permesso giornaliero per uscire e ossigenarvi mente, corpo.