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Il quieto vivere è un desiderio che sovente si infrange sull’inquieto vivere e del domani non v’è certezza. La speranza, desiderio e anelito di un diabetico forse è il quieto vivere? Prima di vedere quale scenario si profila occorre fare un censimento delle questioni aperte attorno alla malattia più pop della storia del genere umano e con una tenacia di resistenza senza pari al confronto. Nelle varie famiglie in cui si suddivide la nostra patologia è e resta da “maggioranza bulgara” il tipo 2 mentre il tipo 1 come riportato in una infinità di occasioni rappresenta un fenomeno di nicchia relegato a percentuali da pellerossa, ma non in via di estinzione, anzi.

Oltre l’aspetto meramente statistico quali sono le certezze del diabete al di là della specifica conduzione e controllo della malattia (glicemia, insulina, farmaci, esami, visite, moto e alimentazione)?

Nonostante il grande e grosso peso politico (in termini di popolazione e non di potere) del diabete nella società moderna, e ormai in ogni latitudine del mondo, tutto questo insieme di gente non conta praticamente nulla, niente o quasi.

La ragione è presto detta: per una incapacità strutturale di organizzarsi e pesare realmente oltreché in senso fisico anche sociale e di pressione, lobbying nelle istituzioni e non solo. L’esempio pratico lo si ricava nel campo delle terapie innovative a cominciare dal mancato inserimento della nuova insulina Degludec (Tresiba) nel prontuario farmaceutico.

Naturalmente manca ancor più un azione associativa di tutela e patronage dei propri (pochi) iscritti e di iniziative a supporto delle fasce più deboli della popolazione diabetica. Un esempio: per chi ancora non lo avesse capito siamo e continueremo andare sempre più verso una sanità meno pubblica e con maggiore spesa diretta a carico del cittadino a seconda del censo sociale ed economico, con alcuni che hanno già un forma di assicurazione sanitaria integrativa, altri dovranno andare a farsela prima o poi, e chi non ha reddito sufficiente verrà seguito dagli enti comunali di assistenza o dalla Caritas e simili.

Altra certezza riguarda l’incapacità organizzativa e operativa di realizzare una rete, un gruppo di acquisto solidale per i presidi e servizi a favore dei diabetici in stato di difficoltà, o comunque di supplire ad eventuali carenze.

Occorre stabilire se l’associazionismo è inteso come forma di aggregazione per la difesa degli interessi dei diabetici, il miglioramento dei servizi erogati e prestati, una migliore cura della malattia e formazione, educazione alla stessa. Mutuo soccorso, ascolto e aiuto. Oppure restare come si è oggi in molte realtà: delle unioni di fan del diabetologo o primario di diabetologia di turno e basta.

Infine il quieto vivere per un diabetico tipo 1 o comunque trattato con insulina è dato dall’avere la glicemia stabile o comunque ben compensata.