Apre i battenti novembre tra santi e defunti: entrambi estinti nella materia ma di qualcuno resta il ricordo. E la vita è fatta di gioie e dolori. Solo che le nostre gioie non “pesano” e spesso non le apprezziamo e le diamo per scontate o “dovute” Il dolore al contrario ci lascia tracce troppo profonde, e spesso riaffiorano ricordi tristi, cicatrici che saranno sempre ben visibili. Ma non tutti i dolori sono uguali.
Ci sono dolori veri, reali e quelli inutili, dovuti alla pigrizia mentale, alle piccole cattiverie, e questi sarebbero evitabili se guardassimo con purezza il nostro cuore.
Se vogliamo bene veramente a noi stessi, facciamo attenzione a quella parte che sfugge alla nostra superficiale attenzione ed immergerci ogni tanto sott’acqua, per scoprire cosa nascondiamo al nostro interno.
E per fare questo, ecco l’esigenza di essere testimoni di noi stessi, e dei nostri pensieri, in definitiva del nostro comportamento, al fine di apportare quelle modifiche che man mano si presentano necessarie:
Alcuni dicono: “la gioia è più grande del dolore” e altri: “il dolore è più grande” in realtà sono inseparabili. Essi giungono insieme e quando una siede con noi alla vostra mensa, l’altro è disteso sopra il vostro letto. E noi siamo come bilance, siamo sospesi tra gioia e dolori.
Poche parole, lettere, per espandere l’anima nella grande sfera inghiottita dal tempo e vista roteare nelle vaghe biografie di un comunicato stampa, digitale che ostenta a penetrare nelle mie meningi anche se spingi per farlo entrare. Vado a scialacquare un poco di sangue dalle dita bucate come le mani nello spendi e spandi di attimi donati a contare cifre e mg/dl buttati nella spazzatura dello spazio tempo. Dati usati (bene o male) in quel secondo, poi?
Poi arriva novembre e fra un po’ anche dicembre di un anno che finirà come tutti quelli precedenti e prossimi a venire. Proprio in questo momento scrivere di diabete è come parlare del niente e del tutto, di un passato che non è presente, di una vita, la mia, compresa e compressa in me e non può essere altrimenti poiché una parola è una convenzione per identificare un luogo, una condizione una determinata cosa e la pretesa di vederla onnicomprensiva appartiene allo sforzo di immaginazione.
Mi rendo conto nello spazio di un secondo di non essere in grado di riflettere con il vissuto nella malattia, rappresento un caso a sé nella massa attuale, anche di diabetici d’annata: sono fuori dalla realtà, basta leggere i post e quel che gira attorno tra virtuale e reale.
Un cambio di rotta s’impone: semplicemente facendo altro.