Emergenza a lieto fine al Sacco ma lo scorso anno è morto un ragazzo a Milano
Genitori, insegnanti e medici spesso non riconoscono e non trattano correttamente la chetoacidosi, la grave complicanza con cui si manifesta spesso per la prima volta la malattia diabetica, che provoca lesioni celebrali anche fatali. Giulia è una bimba milanese di 22 mesi quando giunge, a fine ottobre, in condizioni di salute scadenti presso il Pronto Soccorso di un ospedale periferico della cinta intorno a Milano. La bimba è sonnolenta, vomita, il suo stato di coscienza si deteriora progressivamente e il respiro diventa sempre piu? difficoltoso. I medici nel sospetto di diabete infantile eseguono un esame delle urine e controllano la glicemia: viene confermato il sospetto e quindi decidono di iniziare l’infusione di soluzione fisiologica (acqua e sali) e contemporaneamente insulina per ridurre la glicemia. E’ un errore grave, i due trattamenti devono essere conseguenziali non contestuali, ora c’è pericolo di lesione cerebrale che metterebbe a rischio la vita di Giulia. Le condizioni della bambina peggiorano rapidamente: a questo punto viene allertato il Pronto Soccorso Pediatrico dell’Ospedale Luigi Sacco dove la bimba giunge in condizioni critiche. “Bisognava fare in fretta, correre” – racconta il dottor Andrea Scaramuzza, – “L’unica manovra terapeutica da adottare subito è somministrare una dose adeguata di soluzione fisiologica (acqua e sali), rapportata al peso del bambino, di 12 kg e così abbiamo fatto. Abbiamo continuato la reidratazione per 2 ore prima di iniziare la somministrazione di insulina. In questo modo l’organismo ha avuto il tempo per riprendersi gradualmente, senza correre il rischio di danni ancora peggiori quali l’edema cerebrale, favorito da un precoce inizio della terapia insulinica e da una eccessiva dose di liquidi somministrati nelle prime ore. Dopo 36 dal suo arrivo al Pronto Soccorso dell’Ospedale Sacco, avendo seguito con rigore il protocollo terapeutico e le Linee guida recentemente pubblicate da SIEDP, Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica. Giulia torna ad essere quella bimba sorridente che è sempre stata nonostante la diagnosi di diabete. Il peggio per fortuna è passato. Il Pediatra, il personale scolastico, gli educatori, la famiglia devono pensarci se un bambino beve troppo rispetto alle sue abitudini e se fa tanta pipì, se riprende a fare pipì di notte, se dimagrisce senza motivo potrebbe avere il diabete e vanno fatti gli esami opportuni. Una volta fatta la diagnosi se si è di fronte ad una chetoacidosi (bimbo sonnolento, rallentato, respiro rumoroso, alito che sa di frutta marcia) vanno seguite le raccomandazioni delle Società Scientifiche. Approcci terapeutici differenti possono mettere il bambino a rischio di danni permanenti, ma anche di vita”. Se la vicenda di Giulia è a lieto fine, non altrettanto può dirsi per un ragazzo che lo scorso anno è morto a Milano per il diabete infantile e lo stesso è accaduto ad un bambino a Genova. In Italia il diabete infantile continua ad uccidere bambini “Negli ultimi anni sono morti in Italia diversi bambini per complicanze del diabete infantile che possono provocare lesioni cerebrali fatali” – illustra il professor Mohamad Maghnie, Presidente SIEDP – “L’edema cerebrale associato alla chetoacidosi si sviluppa generalmente dalle 4 alle 12 ore dopo l’inizio del trattamento di urgenza, anche se ci sono casi in cui si presenta sin dall’esordio o fino a 24-48 ore dall’inizio del trattamento”.