Il protagonista di questo racconto di Cuore di Edmondo De Amicis, Giulio il piccolo scrivano fiorentino, è un ragazzo di dodici anni, diligente e sensibile che, di fronte alle difficoltà economiche della famiglia, non esita a sacrificare le ore di sonno per dare una mano a suo padre senza chiedere niente in cambio, e costituisce così un esempio per i suoi coetanei. Faceva la quarta elementare. Era un grazioso fiorentino di dodici anni, nero di capelli e bianco di viso, figliuolo maggiore d’un impiegato delle strade ferrate, il quale, avendo molta famiglia e poco stipendio, viveva nelle strettezze. Suo padre lo amava ed era assai, ed era buono e indulgente con lui: indulgente in tutto fuorché in quello che toccava la scuola: in questo pretendeva molto e si mostrava severo perché il figliuolo doveva mettersi in grado di ottener presto un impiego per aiutar la famiglia.
Non so quanti di voi ricordano questo memorabile racconto di cui, aggiungo, resta purtroppo inalterata la sua attualità ancora oggi, osservando ciò che accade nel mondo. Lo scrivano: chi per mestiere copia scritti altrui, o scrive per conto di altri era una figura molto presente e nota anche nel nostro paese nel periodo preunitario e sino al poco dopo la seconda guerra mondiale per via dell’ancora diffuso analfabetismo, basta ricordare alcuni film del celebre Totò per ricordarne la figura.
E prendo spunto proprio da Cuore per arrivare al pancreas del problema: diabete e educazione alla cura della malattia nelle sue molteplici sfaccettature e sistemiche complessità che, solo mediante un’adeguata preparazione formativa possono, debbono aiutare il diabetico a trovare un equilibrio glicemico adeguato e cercare di scongiurare l’arrivo di problemi seri a occhi, reni, piedi, cuore e arterie.
L’alfabetizzazione del diabetico in particolare interessa due categorie della popolazione: i duri di comprendonio, e ce ne sono molti (io tra questi perlomeno nel passato): gli immigrati nel nostro paese che, essendo un percentuale sempre più consistente e con il diabete di tipo 2 in particolare il quale colpisce molti di questi, fa rendere necessario un processo di educazione rivolto proprio a tutta questa gente.
Credo che l’argomento non sia più rinviabile e occorra rendere comprensibile la gestione della malattia superando le barriere linguistiche e nel rispetto delle culture di ciascuno. La ragione è semplice e ancora una volta va ribadita: il diabete è una patologia in cui concorre per più del 50% il paziente a renderla meno incasinata e più equilibrata, mediante l’autocontrollo dello zucchero nel sangue e urine, la gestione della terapia o con iniezioni graduate e intensive d’insulina o la somministrazione per via orale di ipoglicemizzanti, il controllo e l’amministrazione della dieta e del peso, l’esercizio fisico e lo stile di vita, il monitoraggio della pressione arteriosa.
La comprensione e presa in carico di questi passaggi non sono cose di poco conto anche perché date le dimensioni e la crescita dell’epidemia diabetica sarà sempre più difficile se non impossibile nel prossimo futuro poter contare sul tradizionale e frequente feedback medico dal vivo, quindi avere le giuste informazioni e conoscenze, un’adeguata formazione periodica aiuta il diabetico a fare le cose giuste e possibilmente a scongiurare l’aggravamento della malattia con tutti gli oneri e costi diretti e riflessi per il servizio sanitario pubblico.