Un progetto innovativo che desidero condividere in questo sito, proposto da DIA.BO – Diabetici Insieme a Bologna, l’associazione di cui faccio parte trae spunto dagli antichi locali dove trovano sede gli ambulatori di diabetologia presso il Policlinico Sant’Orsola di Bologna e viceversa gli stessi ma moderni dell’Ospedale Maggiore: creare un luogo di riconciliazione con il diabete e la struttura che ci accoglie
Un altro spazio all’interno di questo edificio da far diventare il luogo della riconciliazione, luogo in cui rispondiamo all’invito “lasciarci riconciliare”, per essere ammessi in comunione tra noi stessi e la comunità di fratelli e sorelle nella malattia e operanti per la stessa. Se la risposta che diamo è personale, di fatto è la comunità che riaccoglie, ecco perché questo spazio non può essere separato dal Centro di Riferimento in cui ci ritroviamo per farci curare e proseguire il cammino nella speranza.
Osservando le nostre strutture sanitarie spesso ci imbattiamo con la mancanza di spazi ove poter respirare un clima di pace e riconciliazione tra noi e la patologia e chiunque esso altro sia.
L’agorà dei diabetici: occorre prendere il senso, l’essere nella polis, affinché tutti coloro che possiedono la qualifica di diabetico abbiano gli stessi diritti e gli stessi doveri. Ci si ritrovi assieme e rivalorizzare, a partire da noi stessi, la nostra “seconda casa”: il Centro di Riferimento per la cura del diabete, ove non siamo più estranei ma corpo vivo e integrato in esso.
Oggi si deve rivalorizzare questo spazio poiché esso è il luogo dove la comunità riunita, prende coscienza di sé. Si comprende bene allora come il luogo della riconciliazione non è un semplice arredo, ma un vero e proprio spazio di celebrazione della vita. Al suo interno devono essere presenti quegli elementi che consentono di liberarci individualmente.
Il confessionale non occupa molto spazio e può anche essere collocato in prossimità dell’uscita di sicurezza laddove non è possibile reperire una stanza (Maggiore) e richiama il sedimento del punto di partenza verso il cammino di conversione preceduto dalla riconciliazione.
Forse la menzogna più grande, la malattia più acuta ma occulta del secolo è la deificazione del futuro. Tutto è costantemente rinviato al futuro, contro il piacere del presente, che invece si carica di rabbia. Il giusto e il felice si svolgeranno nel futuro, il presente è abietto. Sembra un allenamento collettivo alla nevrosi. Siamo incitati a rompere, a rivoluzionare, a compiere salti qualitativi, come unico fine gratificante della nostra esistenza, per raggiungere un domani sempre in atto alla svolta della strada e sempre differito; siamo tesi nello spasimo fra due attimi e l’uno non è meritevole di essere e l’altro non sarà, perché essi continuano a inseguirsi, e noi corriamo con loro, affannati, la lingua di fuori sino a quando non si gonfierà e non ci strozzerà.
La vera natura del presente si svelava: era ciò che esiste, e tutto quel che non avevo presente, non esisteva. Il passato non esisteva. Affatto. Né nelle cose e nemmeno nel mio pensiero. Certo, avevo capito da un pezzo che il mio presente mi era sfuggito. Ma fino a quel momento credevo che si fosse soltanto ritirato fuori della mia portata. (Jean-Paul Sartre)