Se riesci ad arrenderti, arrenditi; in tal caso non esiste un come. Se non riesci, pratica qualche tecnica, perché solo attraverso di essa arriverai a un punto in cui accadrà la resa. ( Da: “I segreti della gioia” di Osho ).
A che pro parlare di resa? Che significa? Cos’è che implica? Resa non comporta affatto il cedere supinamente alle circostanze, soprattutto se a proprio o altrui discapito, ma equivale a un rilassamento interiore. E ‘bene chiarire questo equivoco, altrimenti meditazione e discipline affini potrebbero essere fraintese in masochismo spirituale. Il senso di accettazione che ne discende è del tutto relativo e si riferisce alla percezione di “ciò che è” così com’è.
Resa è, quindi, una distensione così profonda da coinvolgere l’essere nella sua più intima e dettagliata, persino minuziosa, globalità. Un rilassamento che prelude, quindi, alla meditazione e senza di cui è impossibile accedere a quei metaforici reami dello spirito che ti trasmette di percepire l’essenza, ossia di esperire sperimentato.
Bene, ma perché – tranne che in circostanze molto particolari – quasi nessuno riesce ad aprire questa benedetta finestra sull’incommensurabile? Di fatto siamo prigionieri di noi stessi, sottomessi alla nostra mente – che siamo sempre noi – e che, in realtà, non si comporta come un’entità univoca, ma come un attore che recita svariati ruoli successivi. Un individuo sottoposto, pertanto, un’infinita serie di pulsioni semi-consce che si succedono di continuo.
Concludendo, per bypassare siffatto circolo vizioso che ci relega al ruolo di vittime diventa pressoché indispensabile servirsi di uno stratagemma. Assecondare la mente nella sua frenetica corsa al “fare”, al coinvolgersi senza tregua in tutto ciò che le capita a tiro pur di non fermarsi e lasciar trasparire la calma, l’infinito amore, la beatitudine, la meraviglia che anima e sottende tutto ciò che vive. Questa sorta di trucco, di escamotage, viene spesso detto “tecnica”.