Primi sette giorni di giugno e appena ieri è finito qui da me (Bologna e dintorni) l’anno scolastico, tempi inarrestabili, un mutuo perpetuo ciclo scandito dal passaggio di testimone tra le generazioni: è la vita
La mattina del primo giorno di scuola fui accompagnato da mamma. Il primo pensiero non so se fu di paura, certamente ero emozionato, con le mie gambine a salire i gradoni enormi della scalinata d’ingresso, non sapendo cosa mi aspettava. Finalmente in un aula insieme ad altri bambini subito notai la differenza, molti di loro vestivano perbene portavano il grembiuli con canditi colletti e tutto il necessario a corredo.
Per la prima volta forse capii nettamente che oltre al mio c’era un mondo diverso e in quella occasione ero costretto a vederlo tutti i giorni. I miei occhi assorbivano con apatia questa nuova scoperta, si perché tanti miei compagni di scuola sembravano caricature da cartolina stile fine ottocento ed io invece avevo già dalla genesi un’aria dimessa, a prescindere dal diabete e dal fisico magro e smunto.
E il momento della differenza di genere era dato dalla campanella di ricreazione alias merendina, lì sentivo crescere dentro di me la vergogna e la miseria – l’insegnante dopo averci squadrati tutti fece la sua selezione, come capi di bestiame fummo divisi dalle icone viventi, a loro furono assegnati i primi posti, noi bambini già mortificati dalla vita, la scuola! La grande educatrice senza preamboli ci emarginò agli ultimi banchi… Si sa che le minoranze possono diventare pericolose (e così fu) forse per ribellione. Mentre per evitare le torture scolastiche avevo in aula un comportamento auto sedato da voto massimo in condotta, anche perché ero già sufficientemente appagato da quanto ricevevo regolarmente, in fatto di cure, dall’ospedale, rammento come fosse adesso che un giorno il mio compagno di banco per sottrarsi a una rigata sulla mano, nello spostarsi la mia maestra le colpì il viso, dentro di me sentii per la prima volta il distacco mentale, emotivo da quelle quattro mura.
Certo da allora sono passati molti anni, quasi cinquanta, alcuni passaggi sono cambiati altri invece rimasti tali quali. Ecco un elemento ancora tribolato da allora ad oggi riguarda proprio l’essere diabetico. Nella mia solitudine di piccolo diabetico da libro cuore ricordo bene come non potevo fare continuativamente scuola e dopo-scuola, ovvero pranzare coi miei compagni e fare ballotta: perché? Semplice, siccome a scuola l’insulina non veniva somministrata dal personale giocoforza mia nonna o madre veniva a prendermi per portarmi a casa, far bollire la siringa per sterilizzarla e pranzare poi appena finito, tutto in un’ora, riportarmi alla sede scolastica.
Ecco per dirla in senso ironico: posso considerarmi l’inventore dello sciopero a singhiozzo causa l’evidente e continuata interruzione del decorso scolastico nell’ avanti e indietro tra scuola – casa – ospedale.
Tutto questo per la cronistoria di uno dei tanti che passa e passerà in attesa di qualche novità tra bolle di sapone in grande quantità, nelle pagine della vita ancora bianche e che aspettano di essere scritte del nostro oggi fatto di tanti domani.
Buona domenica!