Lea in Italia non sono solo il diminutivo femminile di un nome, negli ultimi vent’anni e più fatti di tagli e ritagli, frattaglie del sempre meno servizio sanitario universale, ovvero quel che si direbbe uguale diritto di accesso a cure, visite e diagnosi indipendentemente dal censo sociale. Siccome la costituzione attuale dice che tali accessi gratuiti sono garantiti solo ai poveri, gli altri concorrono in base a standard di rilevamento dei redditi e patrimoni al sostegno della spesa sanitaria coi ticket e altre forme di contribuzione diretta e indiretta. Poi a tale querelle si assomma l’altra legata a tempi d’attesa lunghi per l’effettuazione di prime e seconde visite, esami ecc. (tra queste sono inclusi anche gli accertamenti per il diabete dove dal momento della prenotazione alla data fissata passano almeno sei mesi). I Lea allora? I Lea sono l’acronimo di Livelli Essenziali d’Assistenza, ovvero ciò che lo Stato garantisce come spesa per prestazioni sanitarie di ogni tipo, erogazione di presidi medici, in base al reddito, invalidità ed esenzione per patologia. Laddove lo Stato non passa le prestazioni riportate in elenchi interminabili e spesso incomprensibili ai più, il cittadino o paga di tasca propria oppure, se ce l’ha, si avvale di un’assicurazione sanitaria integrativa.
Fatta questa ampia premessa vengo a un punto di novità, spero confermato nella versione definitiva dei LEA; nel capitolo diabete per la prima volta è dichiarata e riconosciuta l’educazione sanitaria per i malati di diabete. Un tema toccato molte volte in questo spazio, un argomento basilare e che non mi stancherò mai di ripetere per tutti i diabetici è l’educazione permanente al vita col diabete. Già in altre occasioni ho manifestato il pensiero sulla carenza di preparazione nei diabetici sul saper affrontare la gestione della malattia tutti i giorni, e poiché questo richiede in primo luogo una capacità primaria di autogestione dello stile di vita, della terapia e dei controlli, il processo formativo nel diabete deve essere costante e permanente. Non si può lasciare l’educazione al vivere col diabete al caso, o ad episodi sporadici, al fai da te.
Oggi cosa succede infatti: le iniziative di educazione terapeutica e sanitaria sono di due tipi – ripetute più volte l’anno dalle associazioni di genitori di diabetici per bambini e adolescenti che le organizzano con contributi ricevuti da Regioni e sponsor privati e la presenza dei pediatri delle unità sanitarie di riferimento e altri esperti – per gli adulti sia con diabete tipo che 2, tramite eventi spot casuali e senza organicità, continuità e regolarità. Questi ultimi sono organizzati solitamente da associazioni di diabetici o altre organizzazioni sociali, con il contributo delle ASL e di aziende private, naturalmente anche qui si vede la presenza di personale medico e sanitario operante nelle strutture sanitarie di endocrinologia, medicina generale e geriatria.
Da domani coi LEA che comprenderanno l’educazione sanitaria nella declaratoria dei servizi prestati cambierà qualcosa? Ho le mie riserve: prima di tutto occorre vedere quante saranno le risorse messe a disposizione per pagare il personale, poi e se le cifre verranno considerate accettabili per i medici allora si potrà finalmente vedere programmi “universali” di formazione per i diabetici, e non solo limitati a pochi soggetti in modo sparso e discrezionale come è accaduto fin’ora.