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Gioele lo sapeva che prendendo l’aliscafo per Puerto Escoliato il tratto poteva essere accidentato, il mare mosso il cielo scuro lasciavano pensare a un momento mesto e non buono per fare la pasta al pesto. Poi una chiamata dal dispositivo mobile resero la situazione francamente meglio predisposta ad un incontro gusto per una cena con l’aragosta.
Le ore passano e passano i minuti certo il discorso non si chiude con due isolate battute arroventate dalla calura estiva e dalla caduta dei capelli. Godere piacere e gioire sono aspetti conservativi non sempre possibili a tutti.
Dal buco della serratura lo si intravedeva, era chiuso da virgolette, scritto bene, sembrava proprio un altro quadro di parole che stava lì ferme chissà da quanto tempo, in quel cassettino a un angolo della scrivania in mogano, in quello stanzone enorme pieno di quadri e chincaglierie sparse ovunque.
Dalle finestre si vedevano uno sterminio di praterie con cavalli che correvano, fattorie operose, mulini a vento, che facevano da primo piano ai profili collinari che in lontananza ospitavano luminose città, tantissime e enormi città colorate, così grandi e imponenti che le si potevano distinguere l’una dall’altra tant’era largo l’orizzonte che si apriva da quelle finestre, persino le alte montagne innevate e fredde apparivano non troppo distanti, e gli uccelli volano tra le molteplici luci che se pur possenti e accecanti risultavano un poco sbiadite dal velo di polvere che ricopriva quelle finestre, che chissà da quanto tempo non venivano aperte.
Agli orizzonti delle finestre si altalenavano quelli dei quadri che ricoprivano in modo elegante quell’enorme stanza, e tra scene di caccia e ritratti di donna apparivano pagliacci e uccelli di ogni razza, piazze e stazioni ferroviarie a ricoprire tutti i muri e a dare sfarzo all’antico mobilio d’arredo; specchi intarsiati e solo qualche corda dell’anima mi facevano vibrare e senza girarmi già sapevo che non era la sua mano, tra tutte le strade che ho percorso e in cui ho sostato mai ho sentito il rumore di quei tacchi che sicuramente mai son stati più veloci della mano che richiudeva ogni cassetto.
Tra tutti i libri letti mai più scorsi tutte le parole d’amore che si leggevano ad un suo singolo sospiro e per quanto ancora legga senza sosta ho l’impressione che quella penna sia ancora in quel cassetto di fianco a quello con la serratura.
Cos’è che lo spingeva avanti e dietro a ripulire cose che non utilizzava forse può esser solo il tempo, il tempo giusto che si aspetta per far qualsiasi cosa ma ad aspettar s’invecchia e si scolora e come i vetri delle finestre del suo stanzone che non permettono più alla luce di passare, gli occhi e l’anima si ricoprono di un velo che si, traspare, ma non permette più la completa vista dell’orizzonte, che più passa il tempo e più pare solo un’ombra.
Dalle finestre aperte della mia città con alle spalle le fredde montagne innevate, al di là della campagna, vedo la sua casa anche se non c’è più. Abbattuta per farci un magazzino di tubi innocenti dove di innocente c’è solo il nome e non la parola fine.