Non c’è stagione per determinati argomenti, anche se l’estate, tra svacco e bivacco favorisce l’impacco di alcuni temi e tra questi, presente e ricorrente ci sta quello della riduzione del personale medico ambulatoriale, ospedaliero e universitario: insomma tutti, e nel 2025 ne sentiremo le conseguenze. A breve mancheranno migliaia di medici dunque. Sono quasi dieci anni che si parla di come i nostri ospedali pubblici si stiano svuotando di medici. La stretta sui fondi alla sanità, scelta presa dai governi dopo lo scoppio della crisi del 2008, ci ha già fatto perdere 10 mila camici bianchi. Entro il 2025 usciranno dal lavoro con due anni di anticipo, in 52 mila, che andranno in pensione – anche grazie a Quota 100 – mentre mantenendo gli attuali ritmi di reclutamento ne entrerebbero solo 36 mila. Questo porterà l’ammanco a oltre 26 mila, con l’effetto di indebolire ancora il servizio sanitario nazionale e di renderlo sempre meno capace di rispondere alle esigenze di una popolazione che invecchia.
Quindi meno assistenza ai bimbi e per le cure in emergenza. Ad essere penalizzati saranno soprattutto i pronto soccorso, ma anche pediatria, medicina interna, anestesia, rianimazione e chirurgia. In questi giorni il governo è impegnato nel tentativo di tamponare questa emergenza con una norma contenuta nel decreto Calabria. Il provvedimento, che è all’esame del Senato, prevede un paio di novità importanti. La prima è lo sblocco del turn-over, il quale permetterà di far saltare il tappo che in questi anni ha limitato gli ingressi. La seconda è la possibilità di assumere con contratti a tempo determinato gli specializzandi a partire dal penultimo anno del corso di studi; mettere a lavoro con due anni di anticipo i quasi-specialisti, insomma, una soluzione che sulla carta avrebbe la capacità di dare una grossa mano, perché permetterebbe 12 mila arruolamenti solo nel corso di quest’anno, ma che è stata molto criticata dalla Conferenza dei rettori universitari italiani (Crui) in quanto ritiene sia incostituzionale. A prescindere da come la si pensi su questo punto, si tratta comunque di una toppa, che tra l’altro potrebbe non essere incisiva in tutti i territori e in tutte le aree. Il motivo è che oggi la carenza di medici non dipende solo dalla quantità di sanitari ammessi alla specialistica, ma anche dalla distribuzione tra le diverse tipologie. Questo è conseguenza delle scelte individuali dei giovani dottori, che come tali sono difficili da controllare o indirizzare. Secondo il sindacato Anaao-Assomed, però, bisognerebbe innanzitutto incentivarli a optare per il servizio sanitario garantendo stipendi in linea con gli altri paesi europei e possibilità di avanzamenti di carriera. E soprattutto retribuendo in modo adeguato il disagio, i turni notturni e le mansioni pericolose. Questo spingerebbe più ragazzi a scegliere settori come la medicina di emergenza e urgenza, che come detto è quello più esposto allo svuotamento.
E questo sotto l’aspetto della sanità nel suo insieme: e per il diabete? A endocrinologi come stiamo messi? Male e con una aggravante. Nel corso di questi dieci anni non solo il personale medico non è stato rimpiazzato, se non con specialisti precari, ma gli stesso operatori sanitari, infermieri in primis, sono destinati ad evaporarsi per i pensionamenti senza turn-over, e sappiamo quanto è importante questa figura nel team della diabetologia per l’educazione terapeutica, assistenza e molto altro ancora. Per non parlare di un’altra professione chiave pressoché scomparsa dai centri per il diabete è la dietista, il nutrizionista.
Resta l’ignavia e l’impotenza, l’incapacità dei vari soggetti titolari della rappresentanza sanitaria e dei pazienti di farsi carico del problema e di portarlo a soluzione davanti ai governi nazionale e regionali.