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Come il blog aveva già riportato mesi addietro Novonordisk non sola supporta medici e pazienti a fronte dell’impatto psicologico dell’ipoglicemia sulla patologia diabetica, ma lo estende anche alla drammatica situazione generatasi con la pandemia da coronavirus. Un impegno epocale e senza precedenti per la multinazionale danese, a cui va dato merito, anche perché nel 70% delle diabetologie italiane lo psicologo non c’è.

“Rischio di più dato che ho il diabete?” “Può fornirmi una certificazione che mi autorizzi a fare attività fisica fuori da casa?” “Come posso aiutare mio padre, che oltre che diabetico è anche cardiopatico?”.

Sono queste alcune delle domande che si sente porre oggi il diabetologo e alle quali non sempre è facile dare una risposta, non tanto per gli aspetti scientifici che il medico conosce molto bene, ma soprattutto per gli aspetti emotivi e relazionali.

Mai come oggi è importante dire le cose giuste nel modo giusto. Il paziente con una malattia cronica, come ad esempio il diabete, vive oggi un momento di grande stress psicologico che si aggiunge alle difficoltà nel gestire la propria malattia.

Il progetto INSIDEOUTDIABETE
Da queste premesse, prende avvio un percorso creato appositamente con il supporto di Novo Nordisk per essere al fianco dei diabetologi che si trovano ad affrontare nuove paure, dubbi, ansie dei loro pazienti con diabete,  più a rischio durante la pandemia legata al virus SARS-CoV-2.

Il progetto comprende una serie di video interviste a due voci con lo psicologo Giuliano Caggiano e la diabetologa Cristina Bianchi, accompagnate da podcast, infografiche e articoli scaricabili dal sito www.insideoutdiabete.it  progettati per sviluppare nuove competenze e offrire alle domande dei pazienti con diabete risposte che coniughino scienza e gestione delle emozioni.

«Nell’ambito del progetto INSIDEOUTDIABETE, abbiamo pensato di offrire supporto psicologico post-trauma al diabetologo» evidenzia Drago Vuina, Amministratore Delegato di Novo Nordisk Italia. «I medici si trovano a fronteggiare i timori, le ansie, le paure e le preoccupazioni dei pazienti in una situazione di emergenza. Questo potrebbe portare a situazioni di grande stress e di transfert dove il medico si fa carico, anche inconsciamente, delle emozioni negative che riceve dal paziente. L’intento è quello di aiutare i medici, tramite il confronto con uno psicologo dedicato, ad affrontare tali situazioni per gestirle in maniera efficace».

Obiettivi e significato del progetto
Il primo obiettivo è quello di sensibilizzare i medici rispetto alla situazione attuale, in funzione del vissuto emotivo che tutta la società italiana sta vivendo, ma in particolare loro stessi e i pazienti. Le emozioni, che sono importanti nella vita di ciascuno di noi, in questo momento stanno avendo una rilevanza ancora maggiore, sia dal lato del medico che da quello del paziente.

L’altro obiettivo è più concreto e va oltre la sensibilizzazione. È quello di fornire degli strumenti, delle chiavi di lettura più concrete, che possano aiutare il medico nella gestione di sè stesso e della relazione che ha con il paziente.

«Non è un percorso di psicoterapia, anche se la metodologia è quella, ma è un servizio di supporto di tipo informativo che viene fornito ai medici attraverso una serie di infografiche e di video» ha chiarito Giuliano Caggiano, psicologo e coach, membro dell’Ordine degli Psicologi del Lazio. «L’aspetto innovativo del progetto di Novo Nordisk deriva dall’aver unito le competenze di due professionisti che provengono da un approccio umanistico e medico, che dialogano e si confrontandosi su questi temi. Per la prima volta una dimensione psicologica si incrocia con una dimensione medica, in una situazione di estrema gravità e di estrema emergenza».

Il servizio è quindi dedicato ai medici, per aiutarli ad avere una conoscenza più approfondita delle emozioni e dare loro alcuni suggerimenti pratici così che, quando si trovano di fronte a un paziente, possano avere una chiave di lettura in più legata a una dimensione psicologica.

«In prima istanza c’è l’ascolto del paziente, da cui tutto parte, e dopo si prova a interpretare con categorie psicologiche quello che è stato detto, analizzando i bisogni impliciti e espliciti. E’ importante che il medico, sappia riconoscere le emozioni, dargli un nome e distinguerle tra primarie, secondarie, capire il livello di intensità emotiva che il paziente sta esprimendo, per esempio una cosa è l’apprensione del momento (bassa intensità), una cosa è la paura, oppure il terrore rispetto alla situazione Covid-19» ha aggiunto Caggiano.

Supportare il diabetologo per aiutare i pazienti
«Il progetto nasce dalla necessità per noi diabetologi di dare risposta alle richieste dei pazienti, non strettamente legate alla modifica della terapia dietetica, comportamentale o farmacologica, ma che sia anche di supporto alla situazione che stanno vivendo» ha spiegato Cristina Bianchi, diabetologa presso la U.O. Malattie Metaboliche e Diabetologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana. «Quindi soddisfare il loro bisogno di informazioni e rassicurazioni sui rischi che possono correre, mossa dalla paura del contagio, dal timore di peggiorare la loro condizione, legata anche alle notizie che i media stessi forniscono. I pazienti con patologie croniche come il diabete e con comorbidità sono stati indicati come quelli più soggetti a un esito meno felice dell’infezione, e questa paura ha spinto i pazienti a cercarci per ricevere un supporto».

Al di là del fornire le strette informazioni scientifiche, i diabetologi si sono trovati nella necessità di modulare le loro risposte per mitigare le emozioni dei pazienti. Da qui l’idea di un confronto con qualcuno più esperto della sfera psicologica, che potesse consigliare come aiutare i pazienti anche dal punto di vista emozionale.

«Nel realizzare questa iniziativa anche io ho imparato per esempio cosa non dire e, probabilmente la cosa più importante nel momento in cui la paura, l’ansia, il timore e l’angoscia vengono espressi, nel condividere in un primo momento la sensazione e poi cercare di aiutare il paziente ad affrontarla».

Le domande più comuni rivolte al diabetologo
«Verranno realizzati 8 brevi video prendendo spunto dalle mail e dalle telefonate che i pazienti mi hanno inviato. A parte le comuni indicazioni, abbiamo cercato un modo per rassicurarli nel modo più corretto» ha detto Cristina Bianchi.

Dal paziente più giovane che ha paura del contagio ai familiari dei malati anziani, che chiedono spaventati come possono aiutare i genitori a far fronte alla situazione. Diversi pazienti chiedono invece di aiutarli in questa fase di quarantena a controllare il diabete, dato che devono rimanere in casa privati di una parte fondamentale della cura della malattia, ossia l’attività fisica.

«In questa domanda va letta una varietà di possibilità, perché c’è il paziente che è sempre stato pigro e di punto in bianco ha necessità di una certificazione che lo autorizzi a fare attività fisica. Questo chiaramente nasconde un profilo psicologico ben diverso dal paziente che invece ha sempre fatto esercizio per ottimizzare la malattia e che invece improvvisamente si trova privato di uno strumento fondamentale per gestirla» ha continuato.

«In questo caso, anche se non c’è possibilità di fare movimento all’aria aperta, il suggerimento che possiamo dare è di restare in casa e fare degli esercizi molto semplici, come la camminata sul posto, oppure sfruttare il web dove si trovano programmi di allenamento adatti a tutte le età. Il non uscire non è comunque una giustificazione per non fare attività fisica. Anche semplicemente fare le scale per andare a fare la spesa anziché prendere l’ascensore può essere un accorgimento».

Il progetto più che altro si concentra su come continuare a motivare il paziente, come per esempio sfruttare il periodo di quarantena per dedicarsi alla preparazione di piatti più salutari, quindi cercare di impiegare al meglio il tempo prendendosi cura di sé anche attraverso l’alimentazione, ribaltando la visione della quarantena e cercando di cambiare la quotidianità, senza farsi sopraffare dalla situazione.

«Abbiamo affrontato anche la questione, che ritengo la più triste, dei familiari che ci comunicano la scomparsa del genitore a causa dell’infezione, resa più dolorosa dall’aver visto una persona cara entrare in ospedale senza poterla più salutare. Quindi come dare sostegno e appoggio in queste circostanze a persone che in qualche modo diventano “di famiglia”, perché in una patologia cronica come il diabete piano piano conosciamo i pazienti e le loro famiglie e in un certo senso entriamo a farne parte…».

Impatto emotivo anche sul personale sanitario
Una delle questioni emersa nella realizzazione del progetto è relativa all’impatto che questa situazione sta avendo sui sanitari dal punto di vista emotivo, anche loro sottoposti a uno stress legato al contatto diretto con la malattia, che varia molto a seconda della regione in cui si trovano e della struttura in cui operano.

«Alcune situazioni possono essere definite relativamente tranquille rispetto a quella dei colleghi in Lombardia o in altre regioni maggiormente colpite. Il coinvolgimento personale in questa situazione crea uno stress, sia legato alla gestione dei pazienti che a livello strettamente personale, perché i timori della popolazione generale li abbiamo anche noi. La paura ogni giorno di portare il virus nelle nostre case ci crea difficoltà come genitori, figli e coniugi» ha concluso Cristina Bianchi.

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