La ricerca italiana propone l’integrazione di marcatori infiammatori e cardiaci per migliorare la valutazione del rischio cardiovascolare, soprattutto nelle persone anziane.
Biomarcatori del rischio cardiovascolare e inflammaging: Un nuovo approccio integrato
Le malattie cardiovascolari (CVD) rimangono una delle principali cause di morte in tutto il mondo, rappresentando quasi un terzo delle morti globali. Nonostante i numerosi progressi nella gestione dei fattori di rischio tradizionali, quali ipertensione, obesità e livelli elevati di colesterolo, il rischio cardiovascolare residuo rimane una questione preoccupante. È evidente che esistono fattori di rischio aggiuntivi che potrebbero contribuire a migliorare la valutazione del rischio globale, specialmente tra le popolazioni anziane. Un team di ricercatori italiani dell’Università Politecnica delle Marche e dell’IRCCS INRCA di Ancona, guidati da Jacopo Sabbatinelli, Matilde Sbriscia, Fabiola Olivieri e Angelica Giuliani, ha pubblicato un editoriale su Aging il 14 ottobre 2024, nel quale propongono un nuovo approccio basato sull’integrazione di biomarcatori specifici per migliorare la valutazione del rischio cardiovascolare. Lo studio si concentra in particolare sull’infiammazione cronica legata all’invecchiamento, un fenomeno noto come “inflammaging”.
Il concetto di inflammaging e il rischio cardiovascolare
L’infiammazione cronica di basso grado, che si intensifica con l’età, è un fenomeno associato al declino funzionale e all’insorgenza di diverse malattie croniche, tra cui le malattie cardiovascolari. Questo processo, chiamato “inflammaging”, gioca un ruolo chiave nell’incremento del rischio cardiovascolare nelle persone anziane. Tradizionalmente, la valutazione del rischio cardiovascolare si è basata su parametri ben noti come il colesterolo, la pressione sanguigna e fattori di stile di vita, ma questi indicatori non riescono a catturare completamente il carico infiammatorio che incide sulla salute cardiaca con l’avanzare dell’età.
I ricercatori italiani propongono l’integrazione di nuovi biomarcatori che riflettano sia lo stato infiammatorio che la salute cardiovascolare per fornire una visione più completa del rischio. Questi marcatori includono la proteina C-reattiva ad alta sensibilità (hs-CRP), la troponina cardiaca ad alta sensibilità (hs-cTn) e i peptidi natriuretici, tutti indicatori chiave della presenza di infiammazione e del rischio di danni cardiovascolari.
Il ruolo dei biomarcatori nella valutazione del rischio
La proteina C-reattiva ad alta sensibilità (hs-CRP) è un noto biomarcatore infiammatorio che aumenta in risposta all’infiammazione sistemica. Studi precedenti hanno dimostrato che livelli elevati di hs-CRP sono correlati a un rischio aumentato di eventi cardiovascolari, come infarti e ictus. Tuttavia, questo marcatore da solo non è sufficiente a identificare con precisione il rischio cardiovascolare nelle persone anziane, poiché l’infiammazione cronica può presentarsi senza segni evidenti di danni cardiaci imminenti.
Ecco perché l’integrazione di altri biomarcatori è cruciale. La troponina cardiaca ad alta sensibilità (hs-cTn) è un indicatore molto preciso di danno miocardico. Anche a livelli bassi, la presenza di troponina nel sangue può segnalare la presenza di un danno subclinico al cuore, permettendo di individuare problemi cardiaci in fase precoce.
I peptidi natriuretici, un altro gruppo di biomarcatori considerato nello studio, sono rilasciati in risposta a stress meccanico e volumetrico sul cuore. Livelli elevati di questi peptidi sono associati a insufficienza cardiaca e possono essere un segnale di rischio per lo sviluppo di malattie cardiovascolari.
Un approccio integrato: il valore aggiunto per le persone anziane
Combinando questi biomarcatori, i ricercatori italiani ritengono che sia possibile ottenere una valutazione più accurata del rischio cardiovascolare, in particolare nelle popolazioni anziane, dove l’infiammazione cronica legata all’invecchiamento gioca un ruolo centrale. L’integrità vascolare e la funzione cardiaca possono essere monitorate con maggiore precisione quando si tiene conto dell’infiammazione di fondo e del danno subclinico al cuore.
Gli autori dello studio sottolineano come l’integrazione di questi marcatori fornisca una visione più completa della salute cardiovascolare, che va oltre i tradizionali fattori di rischio. Questo approccio potrebbe aprire nuove strade per lo sviluppo di interventi mirati, soprattutto nelle fasce di popolazione più vulnerabili, come gli anziani.
Implicazioni per la prevenzione e la gestione delle malattie cardiovascolari
L’approccio basato sui biomarcatori proposto da Sabbatinelli e colleghi ha importanti implicazioni per la prevenzione e la gestione delle malattie cardiovascolari. La possibilità di identificare il rischio cardiovascolare attraverso l’analisi combinata di marcatori infiammatori e cardiaci permette di intervenire in modo più tempestivo e mirato. Per esempio, le persone anziane con livelli elevati di hs-CRP e hs-cTn potrebbero beneficiare di trattamenti preventivi più intensivi, inclusi cambiamenti nello stile di vita, interventi farmacologici o monitoraggio continuo della salute cardiaca.
L’infiammazione cronica, che è spesso silente, può essere uno dei fattori chiave che spiega il rischio residuo osservato in molte persone che, nonostante la gestione dei fattori di rischio tradizionali, continuano a sviluppare malattie cardiovascolari. Gli autori evidenziano inoltre che un’attenzione maggiore all’inflammaging potrebbe contribuire a migliorare la qualità della vita degli anziani, riducendo l’incidenza di eventi cardiovascolari e promuovendo un invecchiamento più sano.
Prospettive future della ricerca
Lo studio pubblicato su Aging offre una prospettiva promettente per la ricerca futura e per lo sviluppo di nuovi approcci clinici nella valutazione del rischio cardiovascolare. Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per validare l’efficacia di questo approccio integrato su larga scala e per esplorare le possibili applicazioni terapeutiche che potrebbero derivare da una maggiore comprensione del ruolo dell’infiammazione cronica nell’invecchiamento.
In conclusione, l’integrazione dei biomarcatori proposti non solo permette di migliorare la diagnosi precoce delle malattie cardiovascolari, ma apre anche la strada a interventi più personalizzati. Questa ricerca rappresenta un passo avanti verso una medicina più precisa e mirata, che tenga conto non solo dei classici fattori di rischio, ma anche del carico infiammatorio che accompagna l’invecchiamento.
Questo approccio integrato potrebbe cambiare il modo in cui la comunità medica valuta e gestisce il rischio cardiovascolare nelle persone anziane, promuovendo una prevenzione più efficace e mirata.