Le malattie cardiovascolari e il diabete sono spesso intrecciate, condividendo fattori di rischio e complicanze. Tuttavia, un recente studio condotto dai ricercatori dell’Intermountain Health di Salt Lake City sfida le pratiche consolidate, rivelando che lo screening proattivo per le malattie coronariche nei pazienti diabetici non influisce in modo significativo sui tassi di mortalità a lungo termine né riduce il rischio di eventi cardiaci futuri come infarti o ictus.

I risultati dello studio FACTOR-64, presentati durante le sessioni scientifiche 2024 dell’American Heart Association a Chicago, evidenziano l’importanza di riconsiderare l’utilità della coronarografia computerizzata tomografica (CCTA) come strumento di screening per i pazienti con diabete di tipo 1 o 2 asintomatici.

Lo studio FACTOR-64: una panoramica

Lo studio FACTOR-64 ha coinvolto 900 pazienti diabetici, senza sintomi di malattia coronarica, monitorati per oltre un decennio. Tra questi, 452 partecipanti sono stati sottoposti a CCTA, un esame che utilizza immagini 3D avanzate per valutare la presenza di problemi cardiaci. Il gruppo di controllo, composto da 448 pazienti, ha seguito invece le linee guida standard per la cura del diabete.

I risultati del follow-up, condotto inizialmente quattro o cinque anni dopo e successivamente a 12 anni, sono stati sorprendenti: la CCTA non ha mostrato alcun impatto significativo sulla mortalità o sul rischio di eventi cardiaci non fatali rispetto alle cure standard.

Cosa significa questo per i pazienti diabetici?

“Il nostro studio ha scoperto che effettuare questo tipo di screening non fa alcuna differenza significativa nei tassi di sopravvivenza a lungo termine”, ha dichiarato il dottor J. Brent Muhlestein, ricercatore principale dello studio e co-direttore della ricerca cardiovascolare presso Intermountain Health.

Questo non significa che la salute cardiovascolare dei pazienti diabetici debba essere trascurata. Piuttosto, sottolinea l’importanza di concentrarsi su interventi comprovati come:

  • Gestione ottimale dei farmaci.
  • Adozione di una dieta equilibrata.
  • Attività fisica regolare.

Questi interventi, già ampiamente raccomandati dalle linee guida cliniche, possono migliorare significativamente la qualità e l’aspettativa di vita dei pazienti diabetici.

Un cambio di paradigma nella prevenzione cardiovascolare

La scoperta dell’Intermountain Health segna un potenziale punto di svolta nella gestione del diabete. La correlazione tra diabete e malattia coronarica è ben documentata, ma lo studio dimostra che l’assenza di sintomi cardiaci nei pazienti diabetici non giustifica lo screening proattivo con strumenti avanzati come la CCTA.

“Questi risultati dovrebbero scoraggiare l’uso della CCTA per lo screening nei pazienti diabetici che non mostrano alcun sintomo di malattia cardiaca”, ha affermato il dottor Muhlestein.

Invece, i ricercatori suggeriscono che il vero beneficio per i pazienti risiede nella gestione rigorosa del diabete. Secondo lo studio, i pazienti che aderiscono ai trattamenti medici e a uno stile di vita sano possono aspirare a una longevità comparabile a quella delle persone senza diabete.

Lezioni per il futuro

Questa ricerca invita medici e pazienti a riconsiderare il peso dello screening precoce rispetto agli approcci consolidati nella gestione del diabete e delle sue complicanze. I risultati sottolineano che la prevenzione a lungo termine dipende meno da test costosi e invasivi, e più da abitudini quotidiane come l’alimentazione equilibrata, l’esercizio fisico e il controllo del glucosio nel sangue.

Un invito all’azione

Il messaggio chiave di questo studio è chiaro: uno stile di vita attivo e la gestione ottimale del diabete rappresentano il miglior investimento per una vita lunga e sana. Per i pazienti diabetici e i loro caregiver, l’attenzione deve spostarsi dalle tecnologie avanzate agli interventi semplici ma essenziali che migliorano realmente la salute a lungo termine.

“La nostra ricerca dimostra che i pazienti diabetici, con una gestione adeguata, possono vivere quasi quanto le persone senza diabete”, conclude il dottor Muhlestein. “Non si tratta di trovare una scorciatoia con lo screening, ma di coltivare comportamenti salutari che fanno la differenza”.

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