Saremo mai completi senza in nostri errori? No, sbagliare è parte integrante della natura e vita.

La locuzione latina errare humanum est, perseverare autem diabolicum, tradotta letteralmente, significa “commettere errori è umano, ma perseverare [nell’errore] è diabolico”. La frase è entrata nel linguaggio comune, come aforisma con il quale si cerca d’attenuare una colpa, un errore, purché sporadico e non ripetuto.

Ma è proprio vero che il perseverare è diabolico? Lo è solo quando è voluto l’errore, in altra condizione no. Anzi noi diabetici che viviamo a tempo pieno con una malattia abbiamo fatto il salto di qualità, il passaggio verso la crescita, consapevolezza e maturazione interiore grazie a continui e infiniti errori compiuti con e nella situazione generata dalla patologia.

Avete mai visto una mare sempre calmo? Una palude in tempesta? Un cielo solo e sempre senza nubi? Naturalmente no. Il concetto estetico e razionale di perfezione appartiene a una linea mentale e spirituale immaginifica e per chi crede dogmatica, una soglia invisibile tale da farne un diaframma astratto tra quel che è e ciò a cui si aspira portando poi tutto all’interno di una via di mezzo.

Quante volte capita di spaccare il capello in quattro per cercare di capire e uscire da una situazione claustrofobico ostruttiva con il diabete, la glicemia e l’insulina, facendo addizioni, sottrazioni, divisioni e moltiplicazioni. Oggi poi la parola di moda è algoritmo: un procedimento formale che risolve un determinato problema attraverso un numero finito di passi. Un problema risolvibile mediante un algoritmo si dice computabile.

Poi al ritmo dello zumba passerà anche l’algoritmo, e nel frattempo siamo certi di come dei nostri errori assieme a quelli di madre natura facciamo patrimonio per arricchire la conoscenza e tenere quell’equilibrio psicofisico alla base dello stesso ma glicemico.

Tra menefreghismo, sbattimento e tormento: stati d’animo insiti e variabili nel diabetico 1 o comunque trattato con insulina, viene fuori alla fine l’essere non ostaggio di tensioni a motivo della malattia. Non deve essere una glicemia a renderci invernali per tutto il tempo che ci è dato di vivere. E’ vero ci sta uno o più valori sballati, ma questo non deve farci sfasciare la testa ed andare in depressione: sarebbe una perdita di tempo che non ci possiamo permettere.

Dobbiamo sbagliare per essere liberi dai condizionamenti. Dobbiamo riparare per tenere assieme il vaso. E ricordiamoci che la preziosa anfora siamo noi. Qualcuno avrà da obiettare, forse, che un diabetico non è fatto di coccio, ma la malattia non c’entra nulla. Ogni essere vivente di questo pianeta è fatto di coccio e col passare del tempo e delle esperienze le crepe stanno a evidenziare che si è vissuto. La differenza per un diabetico la fa il fatto di essere la nostra un’anfora ricca di suoni e sensibilità: poi da questo vaso ogni tanto ne esce il genio della lampada esaudendo un desiderio serio così da farci stare meglio e colorare l’orizzonte all’alba come al tramonto.