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Bladder Syringe

C’era una volta esordivano le favole narrate nella mia infanzia, e mi piaceva molto ascoltarle da mamma e nonno: erano dei bravi narratori, ma all’epoca la mia fame di fantasia, per contrastare la realtà fatta di dolore e sofferenza a causa del diabete, era tale da stimolarmi nel pensare e improvvisare racconti e fiabe a getto continuo, con mia sorella, più piccola di tre anni, a fare da cavia dei racconti freschi di mente. Oggi mi va di riesumare un intimo ricordo d’infanzia che non ho mai condiviso al di fuori della stretta cerchia familiare: la sera dopo aver cenato e guardato carosello si andava a dormire, con un poco di resistenza a dire il vero, e tutta la fantasia espositiva nacque per caso, una sera mia sorella mi disse: Roberto mi annoio, non ho sonno, in quel mentre ebbi pronta una risposta, come un lampo, una illuminazione e risposi – Lucia lo sai ora apro lo scrigno contenente un libro che ho solo io e contiene tutte le favole del mondo, di ogni dove cosa vuoi ascoltare. Mia sorella esclamò: che bello! Mi racconti una fiaba africana? Certo Lucia, senza tentennamenti, e cominciavo a raccontare improvvisando senza alcuna incertezza espositiva, aggiungo che le favole erano molto originali nella trama, a volte anche demenziali al cospetto dei classici. “Un tempo c’era un villaggio sperduto in Tanzania dove viveva un piccolo principe figlio del Re della Tribù dei Wolovesi, il quale amava stare in compagnia delle capre e animali del zio pastore anziché imparare a leggere e scrivere: Tari si chiamava e nonostante mamma e papà insistevano affinché si applicasse nello studio lui più cocciuto di una mandria di zebù non voleva saperne. Allora il papà e Re della tribù decise di consultare il consiglio degli anziani per prendere una decisione, anche perché di certo non poteva permettersi di cedere alle resistenze del figliolo erede al trono. Gli anziani del villaggio suggerirono al sovrano di ordinare a Tari di aiutare le donne a portare l’acqua con le giare ogni settimana dalla fonte alla tribù. E così fu: Tari accettò il compito senza battere ciglio solo che le cose non andavano molto bene: il ragazzo per il sentiero faceva fatica e molte volte inciampava perdendo in alcune occasioni il prezioso carico. Dopo un mese papà Roi gli chiese: figliolo cosa vuoi fare, così non puoi andare avanti, fai del male alla tribù e a te stesso. Allora Tari chiese se poteva essere dispensato dal compito per seguire gli animali nel cortile, ma decisamente gli fu obiettato che non poteva fare quel che gli pareva. Disperato il ragazzo sul fare della sera raccolse i suoi pochi oggetti e si allontanò dal villaggio: vagò per giorni e giorni senza una meta, fin quando stanco e privo di ogni forza vide in lontananza un capanno con seduto fuori un vecchio appoggiato ad un bastone che sembrava aspettarlo. Ciao ragazzo qual buon vento ti mena? Tari alla domanda chiese: posso sedermi qui? E al cenno di consenso dell’anziano ebbe inizio a raccontare la storia di lui, del villaggio e di quanto gli era successo. Il vecchio ascolto tutto senza battere ciglio, poi quando Tari ebbe a terminare rispose: ragazzo lo sai anche io feci come te, uguale ogni cosa, solo molte lune fa ed ora sono qui solo nella mia capanna e guardo i fili di paglia crescere, le gazzelle correre e il tempo fuggire. Tu Tari farai come me: prenderai questa capanna e guarderai il sole incontrare la luna e il tramonto darti il saluto. All’ascolto delle parole pronunciate dall’uomo il ragazzo preso da una grande paura corse via più veloce di un lepre, e torno al villaggio da dove era fuggito per li restarvi e ricominciare a imparare a leggere e scrivere”.

Ecco un piccolo scampo di infanzia e di fantasia narrativa come rimarcavo poc’anzi a supplire i tanti attimi di sofferenza e pianto dovuti al diabete, con il loro fulcro lungo l’arco d’età partito nel 1963 e arrivato al 1980. Per finire desidero testimoniare un altro piccolo specchiato dei temi pediatrici della mia epoca: allora fare un prelievo del sangue su di un bambino era molto, molto doloroso, gli utilizzati avevano uno spessore notevole e molte volte capitava di rovinare le braccia e vene di noi piccoli. Io nell’arco della giornata venivo sottoposto a tre prelievi del sangue e avrei voluto tanto fosse utilizzato qualcosa per farmi addormentare o sedare il dolore: anni dopo venni a sapere che nel reparto dozzinanti della stessa pediatria i bambini sottoposti allo stesso trattamento venivano sedati. Ecco con l’ultimo particolare e guardando alla prospettiva attuale in ambito sanitario voglio ricordare chi siamo, da dove veniamo e cosa vogliamo noi diabetici: non tornare indietro.