Prendevo ogni mattina la stessa via, andavo a consumare il caffè nel medesimo bar tutti i giorni all’ora fissa: le sette antimeridiane, poi timbravo il cartellino ed entravo in ufficio con maniacale puntualità all’identico minuto tutte le volte uguale. Naturalmente la cosa si ripeteva anche per gli altri attimi della giornata: pranzo, soste per uno spuntino e via enumerando. Insomma ero un tipo regolare, noiosamente regolare, fino alla nausea, forse per questo sono rimasto solo? Non so darmi una risposta certa, ma fin da piccino il dottor Bellett diceva a mia mamma e poi a me: cerchi di far fare ogni cosa al suo figliolo con la massima regolarità: pasti e punture, esercizi fisici in modo d’avere sempre sotto controllo la glicemia e il diabete. Mia madre educata secondo principi e disciplina teutonici non se lo faceva mandare a dire, e fino al compimento del mio venticinquesimo compleanno mantenne un stretto controllo sul mio stile di vita e della patologia, poi migrando per lavoro a circa cinquecento chilometri da casa dovetti giocoforza imparare ad essere autonomo e ci riuscii in modo brillante mantenendo sempre fervida l’educazione materna. Ecco nonostante tutto questo non sono sempre riuscito a impedire l’arrivo delle temute crisi ipoglicemiche e queste, tutte le volte che si sono manifestate, per fortune non mi hanno mai portato a perdere conoscenza a maggior ragione stante il mio vivere da solo.
Il caso volle, per un strano scherzo del destino, che il mio collega d’ufficio fosse pure lui diabetico ma con caratteristiche diverse dalle mie: mentre io ero ferreamente indottrinato nella cura e gestione della malattia, lui lo era solo per le pratiche di lavoro e per il resto si faceva dominare dalla noncuranza e sciatteria più completa. Non ricordo più il numero infinito di volte in cui dovetti soccorrerlo sia sul posto di lavoro che anche a casa vuoi per le crisi ipoglicemiche come per quelle iperglicemiche o altre disavventure di salute. Insomma un autentico caos.
Ma nonostante fossimo due storie e vite completamente agli antipodi avevamo tre cose in comune: naturalmente il diabete e per entrambi insorto fin dalla tenera età di quattro anni, inoltre con il passare del tempo e l’invecchiamento un’ultima situazione andava a rappresentarsi. Capitava negli ultimi anni e in particolare dopo aver girato i quaranta di vita con la malattia, di notare degli attimi come di assenza, vuoto mentale, estraneazione dal contesto: una condizione francamente inspiegabile e anche un poco imbarazzante per me e le persone vicine.
La storia postata oggi è estratta dal racconto di due mie “vecchie conoscenze” di viaggio con il fattore D appresso le quali sono associate a me per quanto riguarda in particolare l’ultimo aspetto narrato: gli attimi d’assenza e vuoto da se e dal contesto circostante. Pure io sono vivo condizioni analoghe. Una possibile causa quale può essere? Parlando nel corso di una passata visita con il neurologo di circa due anni fa, egli ebbe a dire che si trattava degli effetti prodotti sui neuroni sensitivi o afferenti, dalle molteplici ipoglicemie subite nel corso del tempo. Ogni evento ipoglicemico “brucia” in modo irreversibile le cellule cerebrali le quali, a differenza di altre parti del corpo umano, non si rigenerano più. Da qui l’importanza di evitare il più possibile l’arrivo di una ipoglicemia per un diabetico, oltreché per le altre ragioni di sicurezza e incolumità personale.